Il mercato italiano della distribuzione IT: bilanci e prospettive  

Il panorama della distribuzione IT italiana ha chiuso il 2023 con segno negativo. Il comparto ha infatti registrato una diminuzione del 7,8% a valore rispetto all’anno precedente. Secondo i dati del Panel Distribuzione GfK, tutti i principali settori hanno subito un calo, coinvolgendo sia il lato Consumer con una contrazione del 10,6%, sia gli investimenti degli utenti Business con un -6,1%.

Tensioni sul mercato 

La diminuzione del valore di mercato è attribuibile alla fine delle tensioni sull’offerta di prodotti, che ha riportato i prezzi unitari ai livelli pre-pandemici. Questa situazione ha messo in luce la sfida per i protagonisti della catena distributiva nel recupero della marginalità, erosa da una disponibilità eccessiva di prodotti Tech rispetto alla domanda effettiva.

La trasformazione della distribuzione IT con la Supply Chain 4.0

Uno degli elementi principali che emerge dal panel è la trasformazione della distribuzione IT end-to-end, accentuata dall’avvento della Supply Chain 4.0. Questa fase è caratterizzata dall’applicazione dell’Internet of Things, della robotica avanzata e dell’analisi dei big data nella gestione della filiera. L’attenzione si concentra su processi di pianificazione avanzati come la pianificazione analitica della domanda o S&OP integrato, che sono ormai diventati processi consolidati in molte realtà aziendali.

S&OP per la gestione della Supply Chain

In questo contesto è cruciale l’implementazione efficace del processo di Sales and Operations Planning (S&OP). Tale processo rivisita i piani di allineamento tra la domanda del cliente e le forniture per l’orizzonte di pianificazione prefissato.

La pianificazione derivante dal processo S&OP consente al team di gestione di analizzare le performance passate, identificare le aree di miglioramento e definire azioni future per raggiungere gli obiettivi desiderati.
La frequenza di revisione del processo dipende da fattori come il ciclo di vita del prodotto e la variabilità della domanda. Quindi, un processo di S&OP efficace abilita una gestione efficace lungo tutta la Supply Chain.

Il ruolo delle tecnologie emergenti 

Negli ultimi anni, tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa, l’analisi dei dati, l’automazione, l’apprendimento automatico, l’Internet of Things e la blockchain hanno già rivoluzionato le pratiche tradizionali nella gestione della Supply Chain. L’evoluzione verso una catena di approvvigionamento intelligente sembra essere la nuova normalità che caratterizzerà gli anni a venire.

Data Center, un settore che in Italia vale 654 milioni di euro

In Italia, il mercato della colocation dei Data Center, ovvero la compravendita o l’affitto di infrastrutture per ospitare server e dati delle organizzazioni, ha raggiunto nel 2023 un valore di 654 milioni di euro, registrando un aumento del 10% rispetto al 2022.

Si prevede che, in condizioni favorevoli, tale dato possa addirittura raddoppiare entro il 2025. Questo settore ha generato un indotto significativo, influenzando positivamente i mercati digitali abilitati da queste infrastrutture.

Milano è il primo polo infrastrutturale del Paese

Le nuove aperture di Data Center nel 2023 hanno portato la potenza energetica nominale attiva in Italia a 430 MW, registrando un incremento del 23% rispetto all’anno precedente. Milano si conferma come il principale polo infrastrutturale del Paese, con 184 MW, proponendosi come un punto di interesse crescente nel panorama europeo dei Data Center, anche se ancora distante da realtà consolidate come Francoforte.
Altre città emergenti in questo contesto sono Madrid e Varsavia.

Un comparto estremamente dinamico

Il primo Osservatorio Data Center, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, ha presentato questi dati all’evento “Data Center Economy: l’Italia a un punto di svolta”. Si evidenzia un’accelerazione nel settore, con 23 organizzazioni (di cui 8 nuove nel mercato italiano) che prevedono l’apertura di 83 nuove infrastrutture tra il 2023 e il 2025, con un potenziale investimento complessivo di fino a 15 miliardi di euro.

Tale sviluppo è parte di un cambiamento più ampio nel panorama europeo, con una decentralizzazione dell’ecosistema Cloud e una maggiore attenzione alla riduzione della latenza nella trasmissione dei dati, promuovendo la creazione di nuove infrastrutture di prossimità (edge computing). L’Italia si sta posizionando come un polo di riferimento nella gestione del dato e nella Cloud sovereignty, anche grazie al PNRR e alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

Le sfide italiane e il vuoto normativo

Tuttavia, l’Italia deve affrontare alcune sfide. Il settore dei Data Center non è ancora riconosciuto a livello regolatorio, causando incertezze e ritardi nei processi di apertura di nuove infrastrutture. È fondamentale definire norme specifiche e procedure chiare. Inoltre, i Data Center di potenza superiore ai 10 MW richiedono un allacciamento all’alta tensione, un’infrastruttura non sempre disponibile sul territorio, necessitando di investimenti per potenziare la rete elettrica nazionale.

In conclusione, l’Italia si trova di fronte a un’opportunità unica nel settore dei Data Center, ma è cruciale affrontare queste sfide regolatorie e infrastrutturali per sfruttarla appieno e diventare un punto chiave nell’infrastruttura digitale europea e mediterranea.

Mercato Logistica: in Italia cresce e nel 2023 vale 112 miliardi

Dall’aumento dei costi di produzione, del carburante e del denaro alla cronica mancanza di personale in questi ultimi anni il settore della Logistica in Italia ha dovuto affrontare sfide continue. Ma a quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano, nel 2023 il fatturato della Contract Logistics in Italia continuerà la sua crescita, raggiungendo 112 miliardi di euro, anche se a un ritmo più moderato (+5,5%) rispetto ai due anni precedenti.

Nel 2021 la crescita è stata del +16,8% rispetto al 2020 per circa 100 miliardi di fatturato, mentre nel 2022, a fronte di un fatturato di 106 miliardi la crescita si è attestata a +6,4%.
Analizzando i dati 2021, la terziarizzazione in Italia ha raggiunto il 45,3% del valore delle attività logistiche (135,4 miliardi), contro un valore del mercato conto terzi (il fatturato diretto ai soli clienti) pari a 61,3 miliardi (+20,8%).

Manca la manodopera e diminuiscono le imprese

Sul fronte manodopera, mancano almeno 60.000 lavoratori. Circa il 75% dei fornitori di servizi logistici opera in condizioni di sottodimensionamento.

Una situazione resa ancora più difficile dalla scarsa partecipazione femminile (solo il 20,4% è rappresentato da donne), ma comunque migliore rispetto al resto d’Europa. Il Regno Unito, ad esempio, soffre uno shortage di 180.000 addetti, la Germania di 170.000, la Polonia di 160.000, per una carenza totale che supera 1,1 milioni nel Continente.
Continua poi la diminuzione del numero di imprese del settore, con l’uscita dal mercato soprattutto degli operatori più piccoli e meno strutturati. Nel 2020 le imprese della logistica erano 84.500, nel 2021 scendono a 82.000.

“Servono profonde trasformazioni e importanti investimenti”

Si notano però i primi segnali di accorciamento della filiera di fornitura verso una relazione più diretta tra committente e fornitore di servizi logistici.
Nel 2023 a livello nazionale si contano 14 operazioni di Merger and Acquisition, confermando il trend degli scorsi anni (15 operazioni del ‘22 e 24 nel ‘21) con un aumento progressivo di rilevanza delle singole operazioni in termini di dimensioni delle aziende acquisite e degli operatori coinvolti.

“Dall’aumento dei costi alla necessità di un approccio di business più sostenibile, dall’omnicanalità allo sviluppo dei mercati internazionali, fino ai nuovi equilibri delle filiere e lo shortage di persone e competenze, le aziende della Logistica hanno di fronte molteplici sfide che richiedono profonde trasformazioni e importanti investimenti”, commenta Marco Melacini, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Contract Logistics.

Tecnologie 4.0 e sostenibilità

Anche nel mondo della Logistica si osserva un continuo sviluppo di nuove tecnologie e applicazioni 4.0, accompagnato a una nuova attenzione alla sostenibilità sociale, ambientale ed economica.
In futuro, nell’introduzione di tecnologie di Logistica 4.0, sempre più aziende adotteranno un approccio di design di processo human-centric. Ad esempio, con soluzioni innovative per la pianificazione che curano le preferenze e le condizioni di lavoro degli autisti. Oppure, con soluzioni per il monitoraggio delle attività e l’organizzazione del lavoro.
Device di ultima generazione, ad esempio, permettono di segnalare e correggere dinamiche e movimenti che possono gravare sulla salute e la sicurezza. E stanno emergendo soluzioni per consentire il remote working non solo per il personale di ufficio.

Richieste di prestiti: I trimestre 2023 +7,2%, ma importo medio -0,2% 

Emerge dall’ultimo aggiornamento del Barometro CRIF sul credito alle famiglie italiane: nei primi tre mesi del 2023 le richieste di prestiti aumentano del +7,2%, ma l’importo medio richiesto, tra prestiti personali e finalizzati, si attesta a 8.596 euro, -0,2% rispetto al primo trimestre 2022. Nel solo mese di marzo la contrazione dell’importo medio risulta ancora più accentuata rispetto alla media del trimestre precedente (-1,1%). Una conferma del fatto che le famiglie propendono per un credito rateale con importi più contenuti. Tuttavia, per le diverse forme tecniche la dinamica è divergente: i prestiti finalizzati si contraggono del -2,7% rispetto al corrispondente periodo del 2022, mentre i prestiti personali continuano a galoppare a un ritmo a doppia cifra (+23,7%). 

A prevalere per le famiglie italiane è la prudenza

Per entrambe le forme tecniche si registra una generale contrazione dell’importo medio richiesto: nei primi 3 mesi dell’anno i prestiti finalizzati si attestano a 5.925 euro (-2,7%), mentre quelli personali toccano un valore medio di 12.092 euro (-5,6%). Quanto alla tipologia della domanda, un finanziamento su due presenta un importo inferiore a 5.000 euro (53,1% del totale), mentre un 34,7% richiede un prestito tra 5.000-20.000 euro, e solo il 12,2% di richiedenti supera i 20.000 euro.
A prevalere per le famiglie italiane è quindi la prudenza, con piccoli importi dilazionati nel tempo: il 27,5% sceglie di estinguere il finanziamento in 5 anni e il 20,6% nell’arco dei 25-36 mesi.

La fascia 45-54 anni è pari al 23,9%

Se aggiungiamo la variabile età del richiedente, è la fascia 45-54 anni a risultare maggioritaria (23,9%), seguita dai 35-44 anni (21,0%) e sull’ultimo gradino del podio l’età compresa tra i 25-34 anni (19,7%). A trainare la ripresa sono le spese legate al tempo libero, con il settore viaggi passato da +302%, nel primo trimestre 2022 a una crescita del +26% nell’ultimo trimestre. Inoltre, i consumi delle famiglie cambiano e aumenta la sensibilità verso mezzi alternativi all’auto, infatti si sceglie di finanziare mezzi alternativi quali motociclette, biciclette e similari, ad esempio i monopattini, cresciuti del 25% dall’inizio del 2022 alla fine dell’anno. 

Più polizze meno auto

Le famiglie aggiungono inoltre nel carrello della spesa le polizze assicurative, la cui propensione all’acquisto è cresciuta nel corso dei mesi fino a raggiungere un +19% nell’ultimo trimestre 2022.
Continua invece ad arrancare il settore automotive, che soffre la difficoltà nel reperire le materie prime mettendo in crisi l’intera supply chain del comparto. Ne risentono pertanto i finanziamenti verso le auto nuove, che oscillano da un -22% nel primo trimestre 2022 fino a risalire, seppur ancora in un territorio negativo, a un -2,2% nel quarto trimestre dell’anno scorso.

Imprese femminili in aumento a Milano, Monza Brianza e Lodi

In Lombardia l’imprenditoria è sempre più rosa. Sono infatti aumentate, nel corso degli ultimi anni, le imprese femminili, in particolare nell’area produttiva di Milano, Monza Brianza e Lodi. Si è parlato proprio di questo in un recente convegno organizzato dalla Camera di Commercio, denominato “L’Italia che vogliamo è più donna”. Marzia Maiorano, presidente uscente del Comitato Imprenditoria femminile Camera di commercio Milano Monza Brianza Lodi, promotore dell’iniziativa, ha detto: “Puntiamo a un nuovo protagonismo femminile in un mercato globale innovativo e sostenibile. Cerchiamo una maggiore sensibilizzazione grazie al coinvolgimento del mondo imprenditoriale e associativo verso una governance sostenibile”.
Per Chrystelle Simon, DCM Diversity, Equity & Inclusion Leader di Deloitte Central Mediterranean: “Occorre puntare alla leadership inclusiva, rispettare le diversità e valorizzare le unicità delle persone, con un impatto positivo anche dal punto di vista economico”. Donatella Gimigliano, presidente Associazione Consorzio Umanitas ha ricordato l’importanza della lotta alla violenza contro le donne, grazie all’iniziativa “Women for Women against violence”. Nel corso del convegno è stata eletta la nuova Presidente del Comitato Imprenditoria femminile: Chiara Benedetta Cormanni, consigliera della stessa Camera di commercio.

Le imprese in rosa sono cresciute del 5%

La bella notizia è che i numeri dell’imprenditorialità femminile sono tutti in crescita, almeno nei territori in oggetto. Per la precisione, le imprese femminili a Milano Monza Brianza Lodi, secondo i dati della Camera di commercio, segnano un  +0,2% in un anno e addirittura +5% in quattro anni. Sono 71.250 le imprese femminili a Milano Monza Brianza Lodi al terzo trimestre 2022 e rappresentano il 18,3% del totale delle imprese di questi territori. Erano 71.094 un anno fa e 67.852 al terzo trimestre 2018, ancora in periodo pre Covid. Oggi sono 3.398 imprese in più del 2018 tra Milano Monza Brianza Lodi, di cui 2.684 in più per Milano. 

Trainano la crescita le attività professionali scientifiche e tecniche

Trainano la crescita nell’ultimo anno le attività professionali scientifiche e tecniche, del 5,9%, che oggi contano 6.661 imprese nei tre territori In particolare sono 56.161 le imprese di Milano e area metropolitana, + 0,2% in un anno e + 5% in quattro anni. Sono 12.288 a Monza e Brianza, +0,4% in un anno e +6,2% in quattro anni. Sono 2.801 a Lodi, stabili in quattro anni. Primo settore i servizi, col 61,7% di tutte le imprese femminili dei tre territori, seguito dal commercio con il 24,3%.
Le imprese femminili danno lavoro a 183.464 addetti nei tre territori, di cui 146.278 a Milano, 30.280 a Monza Brianza e 6.906 a Lodi.

Milano, il business della moda è qui

Il settore della moda crea un giro d’affari in Italia pari a 86,7 miliardi di euro all’anno e il 15,6% di questo valore è concentrato a Milano, il cui volume d’affari vale 13,5 miliardi di euro all’anno. L’export di Milano del settore moda nei primi sei mesi dell’anno ha un valore di 4,9 miliardi: pesa il 16% dell’export del settore moda nazionale ed è cresciuto del 31,4% nel 1° semestre del 2022 rispetto al 1° semestre del 2021. Questi in sintesi i dati presentati dalla Camera Arbitrale di Milano su un’elaborazione Studi, Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano MonzaBrianza Lodi.

Le imprese della moda a Milano e in Italia

Nel 3° trimestre del 2022, a Milano risultano attive 11.102 imprese nel comparto della moda, rappresentano il 5,6% delle imprese del settore moda in Italia. A Milano le oltre 11 mila imprese danno lavoro a 93.532 persone e creano un giro d’affari pari a 13,5 miliardi di euro (dato riferito alle sole società di capitali), che pesa il 15,6% sul giro d’affari complessivo generato dalle imprese del settore moda in Italia, che è di 86 miliardi di euro. In Italia le imprese del settore moda sono 199.442, danno lavoro a 787.166 persone e creano un giro d’affari pari a 86,7 miliardi di euro. In Lombardia sono 28.201 le imprese attive e danno lavoro a 180.305 persone e creano un giro d’affari pari a 26 miliardi di euro. La maggior parte delle imprese del settore opera nell’ambito della produzione e del commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento. Le imprese del settore con sede a Milano, Monza e Lodi hanno registrato nel 2021 ricavi delle vendite per circa 14,7 miliardi di euro, una cifra pari a oltre la metà del fatturato lombardo del settore e al 17% del totale nazionale, che risulta superiore agli 86 miliardi di euro. Milano risulta ampiamente la prima provincia italiana per fatturato del settore moda con 13,5 miliardi di euro, distanziando nettamente Vicenza (6,5 miliardi), Napoli (4,4 miliardi) e Firenze (4,2 miliardi). Le imprese della moda basate a Monza fatturano invece circa 1,1 miliardi di euro, 46 milioni quelle di Lodi.

Quanti addetti nel settore?

 Il settore della moda conta complessivamente 103mila addetti nell’area accorpata di Milano Monza Brianza e Lodi (93.532 a Milano), pari a oltre la metà di quelli lombardi e al 13,1% del totale nazionale; di questi, 37mila operano nei comparti industriali del fashion (30.962 a Milano), l’8,2% degli addetti italiani. La maggiore concentrazione di lavoratori si registra nella confezione e nel commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento.

Dove va l’export?

Il baricentro dei mercati è spostato in misura preponderante verso le aree extraeuropee, dove le mete di destino principali sono Asia (38,4%) e America (19,3%), mentre Africa e Oceania sono residuali per la struttura delle rotte geografiche. Il mercato Europeo (39,8%) evidenzia una preponderanza dell’Unione europea (22,4%) rispetto alle piazze esterne allo spazio comune (17,4%). Nelle prime tre posizioni si collocano Stati Uniti (16,3%), Cina (10,7%) e Corea del Sud (8,2%), mentre il primo mercato europeo, ossia la Francia (8%), si posiziona al quarto posto della graduatoria, seguita da Svizzera (7%) e Regno Unito (5,9%), i partner principali esterni all’area comunitaria.

Nel secondo trimestre 2022 spedizioni di smartphone a -9% 

A causa del calo della domanda nel secondo trimestre del 2022 le spedizioni globali di smartphone sono scese a 287 milioni di unità (-9%).
Secondo i dati della società di analisi Canalys, è la cifra trimestrale più bassa dal secondo trimestre del 2020, quando la pandemia ha colpito per la prima volta.  È Samsung a guidare il mercato, con 61,8 milioni di smartphone spediti e una quota di mercato del 21%, mentre nonostante la debole stagionalità Apple ha mantenuto il secondo posto, spedendo 49,5 milioni di iPhone per una quota di mercato del 17%.
Xiaomi è invece rimasta al terzo posto, con 39,6 milioni di unità, e OPPO e vivo completano la top five rispettivamente con 27,3 e 25,4 milioni di unità spedite.

Carenze della catena di approvvigionamento: non è più il problema più urgente

“I principali fornitori cinesi sono riusciti a stabilizzare le loro prestazioni mondiali rispetto allo scorso trimestre, nonostante un altro round di contrazioni a due cifre su base annua – dichiara Toby Zhu, analista di Canalys -. Le carenze della catena di approvvigionamento non sono più il problema più urgente poiché gli ordini di componenti vengono abbattuti rapidamente e i fornitori hanno iniziato a preoccuparsi dell’eccesso di offerta. Questo ha comportato riduzioni di prezzo per i componenti chiave – continua Zhu -. I fornitori potrebbero utilizzare i risparmi extra per migliorare la competitività del prodotto dei nuovi lanci nella seconda metà dell’anno. Allo stesso tempo, ciò potrebbe rendere ancora più difficile sbarazzarsi dei vecchi modelli. La situazione dell’eccesso di offerta richiede più capacità di pianificazione dei fornitori rispetto al periodo di carenza”, si legge su ChannelCity.

Consumatori sempre più orientati a telefoni economici

La crisi del settore non è spiegata solo dai ridotti volumi di vendita, ma anche dalle scelte dei consumatori, che stanno cominciando ad abbandonare la fascia media del mercato per spostarsi verso quella bassa, andando quindi a intaccare ulteriormente i margini delle aziende che vendono top di gamma.
Secondo Runar Bj›rhovde, Research Analyst presso Canalys, le aziende hanno dovuto far fronte a una domanda debole, che ha portato a ripensare le strategie trimestrali.

Un calo influenzato anche dalla domanda elevata di dodici mesi fa

L’aumento dell’inflazione e l’accumulo di scorte hanno portato i produttori a ‘rivalutare il proprio portafoglio’ per il resto del 2022. Per gli analisti, il calo del 9% è influenzato anche dalla domanda elevata di dodici mesi fa, quando dopo il difficile 2020 il settore aveva beneficiato di una forte impennata dei consumi. Per Canalys, oggi il reddito disponibile è più orientato ad altri prodotti e beni, non solo verso l’elettronica, riferisce Ansa. “Una profonda collaborazione con i canali per monitorare lo stato dell’inventario e della fornitura sarà fondamentale per i fornitori per identificare le opportunità a breve termine – sottolinea Toby Zhu -, mantenendo al contempo sane partnership di canale nel lungo periodo”.

Rincari: scatta l’allarme per hotel e ristoranti

È allarme rincari per hotel e ristoranti, ma anche per B&B, motel, pensioni, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù. Lo segnala l’Unione nazionale consumatori, che ha condotto per l’Adnkronos uno studio elaborando gli ultimi dati Istat relativi al mese di maggio, e stilando una classifica delle città con i maggiori rincari. Per le prossime vacanze estive si profila infatti una stangata nel settore della ricettività. Nonostante maggio non sia tradizionalmente un mese di ferie, e non ci siano stati ‘ponti’, i prezzi dei servizi di alloggio sono già saliti in media del 12,5% rispetto a maggio 2021. In particolare, per alberghi e motel +14,7%, pensioni +10,7%, e villaggi vacanze, campeggi e ostelli +0,4%.

A Torino i rialzi maggiori per gli alberghi

Ma le differenze sul territorio sono enormi, con oltre 58 punti percentuali di differenza tra la città più cara e la meno cara. Sintomo anche di una differente ripresa della domanda turistica, ancora a macchia di leopardo, con alcune città addirittura in deflazione. A guidare la classifica della città con i maggiori rialzi nel settore alberghiero è Torino, con un balzo del 40,5% rispetto allo scorso anno, al secondo posto Palermo, con un incremento annuo del 36,5%, e al terzo Siena, con +30,7%. Appena giù dal podio, Bologna (+28,9%), seguita da Teramo (+23,5%), Milano (21,6%), poi Trieste (+20,7%), Como (+20,2%) e Roma (+19,6%). Chiude la Top Ten Viterbo, con un aumento del +19,3%.

Ma a Venezia i prezzi crollano del -17,5%

Sull’altro versante, il dato clamoroso di Venezia, in deflazione con un crollo dei prezzi su base annua del 17,5%. La seconda città più ‘virtuosa’ è Caltanissetta (-4,9%), mentre sul gradino più basso del podio si posiziona Trapani (-1,2%). Ma in deflazione è anche Livorno (-0,4%).
L’Unione nazionale consumatori ha condotto un’analisi dei rincari anche su base mensile, da cui risulta che Torino rimane in cima alla Top Ten anche rispetto ad aprile (+33,2%), mentre al secondo posto si piazza Siena (+28,1%) e al terzo Palermo (+18,8%). A seguire Bologna, che mantiene il quarto posto (+14,9%), seguita da Siracusa (+13,3%), Lucca (+13,2%), Parma (+11,6%), Rimini (+11,4%), Campobasso (11,2%) e Como (+10,8%).

Ristoranti: Verona +8,7% in un mese

Non va molto meglio per i ristoranti: per i Servizi di ristorazione (ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, gelaterie, prodotti di gastronomia e rosticceria), l’Istat rileva divari tra le città meno clamorosi rispetto agli alberghi ma sempre consistenti. A fronte di un’inflazione annua al 4,5%, lo scarto tra la città più economica e la più svantaggiosa è pari al 7,5%. A vincere questa classifica è Verona, dove i ristoranti rincarano rispetto a maggio 2021 dell’8,7%, al secondo posto Gorizia (+8,3%), e al terzo Palermo (+7,9%). Seguono Brescia (+7,8%), Forlì-Cesena e Sassari (+7,3% entrambe), Lecco (+7,1%), Olbia (7%), Trento (6,7%), e Piacenza (+6,6%). La città dove mangiare fuori costa meno invece è Campobasso (1,2%), seguita da Massa-Carrara (+1,6%), e Lodi (+1,7%).

Aprire la Partita Iva nel 2022: quanto costa?

Quanto costa oggi aprire una partita IVA? E quanto conviene aderire al regime forfettario? Aprire la partita IVA nel 2022 può rivelarsi un’ottima idea, perché oggi è possibile approfittare di alcune agevolazioni decisamente interessanti, che consentono di risparmiare parecchio in termini di tassazione, e non solo. Sicuramente, a coloro che intendono aprire una propria attività da autonomi, conviene aderire al regime forfettario, che prevede un’aliquota molto più bassa rispetto a quella del regime ordinario, e costi generali nettamente inferiori. L’unico vincolo riguarda il fatturato annuo incassato, che non deve superare i 65.000 euro.

Il regime forfettario e la consulenza fiscale

Per attivare una partita IVA in regime forfettario i costi sono variabili a seconda dell’inquadramento fiscale e del servizio di consulenza al quale ci si appoggia. Mentre i professionisti possono portare a termine l’operazione totalmente a costo zero, per artigiani e commercianti bisogna preventivare circa 100 euro di spese vive, alle quali si aggiunge l’onorario del consulente che si occuperà delle incombenze burocratiche. Altri costi che bisogna considerare nel momento dell’apertura della partita IVA sono infatti quelli relativi al commercialista. Si tratta quindi di predisposizione del Modello Redditi, e degli F24 per il versamento delle imposte e dei contributi. Gli importi possono variare a seconda del professionista al quale ci si rivolge, ma esistono servizi online come Fiscozen, che propone un abbonamento comprensivo di tutti gli aspetti legati alla gestione della Partita IVA, dalle tariffe decisamente vantaggiose. Si spendono solamente 299 euro oltre all’IVA all’anno, e il pacchetto comprende tutti i servizi che solitamente sono in capo al commercialista.

Aliquote più basse rispetto al regime ordinario

Un’altra voce di spesa che tutti coloro che aprono partita IVA devono considerare è quella relativa alle tasse e ai contributi previdenziali. In questo caso si tratta di costi variabili, che vengono calcolati sulla base del reddito effettivo. Aprendo partita Iva in regime forfettario, però, si ottengono vantaggi non indifferenti da questo punto di vista. L’aliquota applicata per i primi 5 anni è del 5%, mentre a partire dal sesto anno è del 15%. Nettamente inferiore rispetto a quella che devono corrispondere i contribuenti che operano in regime ordinario. 

A quanto ammontano i contributi previdenziali?

Bisogna poi considerare i contributi previdenziali, riporta Adnkronos, il cui ammontare dipende dalla Cassa di riferimento. Si va dal 25,72% del reddito lordo per i professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS, a un contributo fisso di circa 3.850 euro, dovuto a prescindere dal reddito, per le ditte individuali. È importante ricordare che durante la propria attività i titolari di partita IVA potrebbero avere costi extra da sostenere, come quelli relativi all’emissione di fatture elettroniche (che presto dovrebbero diventare obbligatorie anche per i forfettari). Inoltre, chi acquista o presta servizio verso committenti europei è tenuto a presentare il Modello Intrastat. Alcuni servizi come Fiscozen prevedono un abbonamento comprensivo anche di questi costi, ma ci sono commercialisti che fanno pagare queste pratiche extra.

Dopo il diploma meglio una laurea o un lavoro?

Sebbene la carriera universitaria resti il percorso principale per 1 studente su 2, molti si orientano su diverse alternative: 1 su 10 è orientato verso i corsi professionali non universitari, 1 su 5 punta a cercare lavoro, mentre 1 su 10 si rifugia nella prospettiva di andare all’estero. Ma la voglia di mettersi in gioco fin dai banchi di scuola è un elemento molto presente. Infatti, quasi la metà (45%) dei ragazzi intercettati dall’indagine Dopo il diploma, condotta da Skuola.net su un campione di 3mila alunni delle scuole superiori, mostra l’impegno nel fare qualche ‘lavoretto’: il 26% lo fa nei periodi di pausa dalla didattica, mentre il 19% anche durante i mesi di scuola.

Un diffuso senso di spaesamento

Complice anche il periodo storico, resta però un diffuso senso di spaesamento: quasi la metà degli studenti intervistati (45%) ammette di essere ancora disorientato su cosa fare dopo la scuola. E uno studente su 5 immagina che i mesi successivi al diploma saranno dedicati alla riflessione sul futuro o a un anno sabbatico. Di fatto, negli ultimi tempi l’obiettivo laurea sembra registrare un calo di appeal. Se è vero che rimane la strada maestra per la metà degli studenti delle superiori la flessione è sensibile: rispetto allo scorso anno l’11% di studenti in meno è intenzionato a considerare solo ed esclusivamente l’opzione università. D’altronde, quest’anno, per la prima volta i licei hanno registrato una flessione delle iscrizioni rispetto a dodici mesi fa. Un fatto storico che non avveniva da un decennio.  

Guadagnare con il digitale

Per quanto riguarda chi già dedica un po’ di tempo al lavoro, oltre alle mansioni più conosciute, come camerieri, fattorini, baby-sitter, 1 su 7 punta su lavori digitali, sfruttando le occasioni fornite dal web e dalle nuove tecnologie informatiche.
Tra le “prove tecniche di lavoro” degli studenti è significativo infatti che 1 su 7 guadagni puntando su lavori digitali, ovvero quelli che sfruttano il web e le nuove tecnologie informatiche. I più diffusi riguardano ambiti come l’e-commerce, lo sviluppo e la gestione di app e servizi online, la gestione di pagine social, il fintech (acquisto/vendita di criptovalute, trading online), l’influencer marketing, il gaming e l’informazione online.

Formazione e mondo del lavoro: una relazione complicata

Anche la complicata relazione tra formazione e mondo del lavoro sembra stia iniziando a cambiare. Circa 1 su 5, subito dopo il diploma, punta proprio ad avere presto un’occupazione: l’8% immettendosi direttamente nel mercato del lavoro, il 10% seguendo un corso, ITS o similare, che permetta di specializzarsi ma accorciando il tragitto che porta dai banchi di scuola al lavoro. E tra quanti hanno invece in programma di andare all’università, una quota simile, il 19%, che tra i maschi sale fino al 26%, cambierebbe idea se venisse a conoscenza di un percorso alternativo capace di garantire ampie possibilità di collocamento e opportunità di carriera. Non mancano poi quelli (7%) che sarebbero interessati a entrare nelle forze armate o di polizia.