L’aumento dei prezzi delle materie prime può “azzoppare” il Superbonus

Sugli interventi come il Superbonus 110%, pensati per aiutare il settore edilizio a superare la crisi, pende una sorta di spada di Damocle: la “fiammata” delle materie prime. Se il 57% delle imprese assicura che l’introduzione delle misure agevolative sta avendo un impatto positivo sulla propria attività l’aumento dei prezzi delle materie prime potrebbe ridurre la portata espansiva delle agevolazioni. Lo rileva un’indagine condotta dal Centro studi della CNA, dedicata a La ripresa del settore delle costruzioni tra agevolazioni e aumenti delle materie prime, a cui ha partecipato un campione rappresentativo di imprese artigiane, micro e piccole della filiera, che operano nei comparti della installazione di impianti, dell’edilizia, dei serramenti.

Il sostegno ha messo il turbo

Oltre a dare un impulso alla domanda nella filiera delle costruzioni, gli incentivi stanno avendo un effetto benefico anche sulla organizzazione delle imprese, mettendole nelle condizioni di accrescere competenze. In particolare, il 33,7% ha ampliato il ventaglio dell’offerta di lavori e servizi, adeguandola agli interventi sostenuti e il 27,8% ha assunto nuovo personale. Il comparto dei serramenti (65,9%), quello dell’installazione (56,3%), e l’edilizia (55,4%) quelli che più hanno beneficiato del Superbonus, con il 64,2% delle imprese con oltre dieci dipendenti e il 56% delle imprese fino a dieci addetti. Questo scenario però vede addensarsi all’orizzonte nuvole cupe che potrebbero stravolgerlo. Quasi quattro imprese su cinque (79%) segnalano aumenti nei prezzi dei materiali, delle materie prime e delle apparecchiature rispetto a un anno fa, prima che scoppiasse la pandemia.

In un anno i prezzi salgono anche del 50%

Nel settore delle costruzioni gli aumenti più importanti riguardano i metalli (+20,8%), con punte che superano il +50%, i materiali termoisolanti (+16%) con punte che oscillano tra il +25% e il +50%, i materiali per gli impianti (+14,6%), con crescite che vanno oltre il +25%, e il legno (+14,3%). Elevata anche la crescita per altri materiali, che oscilla tra il +9,4% di malte e collanti e il +11,3% dei laterizi. Meno marcati, ma comunque poco sotto il +10%, gli incrementi sofferti dall’impiantistica e dal settore dei serramenti, dove ha inciso maggiormente il rialzo dei prezzi di semilavorati in alluminio o altri metalli.

A rischio la drastica riduzione della marginalità delle imprese

Il 72% delle imprese addebita la fiammata dei prezzi, in parte o del tutto, ai comportamenti speculativi della catena di fornitura. Quale che sia la causa di questa impennata il rischio è la drastica riduzione della marginalità delle imprese, e di conseguenza, del loro eventuale rafforzamento dopo tanti anni di crisi. Già accusano una sensibile diminuzione dei profitti a causa dell’aumento dei costi di produzione il 51,5% delle imprese di installazione impianti, il 58,3% del settore edilizio e il 64,6% della serramentistica. Le altre imprese, per ora, cercano di attenuare i danni rinegoziando i prezzi applicati alla clientela o trovando nuovi fornitori. Ma quasi il 70% delle imprese teme una riduzione dell’effetto positivo delle agevolazioni, che per un’impresa su cinque, potrebbe assumere una dimensione significativa.

Nonostante il Covid nel 2020 è boom per le auto elettriche, +7,03%

Nonostante la crisi economica e sanitaria a novembre 2020 le vendite di auto ecologiche, sia di tipo full electric sia plug-in, si sono attestate a un +7,03% rispetto allo stesso periodo del 2019. Un dato in controtendenza al mercato automobilistico italiano, che considerando tutte le alimentazioni disponibili ha segnato un -8,49% rispetto all’anno precedente. Le auto elettriche, dunque, all’interno del mercato rappresentano un segmento in piena crescita. Tanto che una fetta sempre più numerosa di italiani, se ne ha la possibilità, punta proprio sulle auto ecologiche. Questo per la loro tecnologia, per gli effetti positivi sull’ambiente e per i costi di manutenzione ordinaria, decisamente inferiori rispetto al motore termico.

Tra il 2019 e il 2020 vendite totali a +198,59%

A confermare il successo di queste auto sono i numeri: le vendite totali di auto ecologiche tra il 2019 e il 2020 sono state infatti rispettivamente 15.484 e 46.482, per una percentuale pari a +198,59%. Si tratta di numeri interessanti per le case automobilistiche, che sempre più di frequente puntano su modelli ecologici, e non solo di alta gamma, ma anche di fascia media e medio-bassa. Da utilizzare per spostarsi soprattutto in città, e da un pubblico che sta diventando sempre più ampio.

La classifica delle più vendute nell’anno del Coronavirus

Quali sono le auto elettriche più vendute in Italia nel 2020? Al primo posto si piazza la Renault Zoe, con 4.270 modelli venduti, seguita dalla piccola Smart ForTwo (3.293), e dalla Tesla Model 3, che con 2.501 modelli consegnati è terza sul podio. Fuori dal podio, appaiono la Volkswagen Up (2.473) e la Peugeot 208 (1.601). Ma chi compra queste auto? L’identikit dell’automobilista elettrico è quello di un italiano che vive principalmente nel Centro-Nord Italia, con il Nord-Ovest, Nord-Est e il Centro che segnano da soli 42.910 auto elettriche vendute nel 2020. U po’ peggio per il Sud e le Isole, con rispettivamente 2.069 e 1.249 auto elettriche vendute nel 2020.

Le auto di Segmento B spingono il comparto

Gli italiani sono sempre più sensibili all’ambiente, e se le condizioni sono favorevoli sono disposti a scegliere un’auto elettrica. Una grossa spinta al comparto l’ha data infatti la creazione di auto di Segmento B, che grazie gli incentivi statali riescono a essere acquistate anche da persone con redditi medio-bassi. E sarà proprio questo segmento di consumatori, riporta Adnkronos, a rendere l’auto elettrica ancora più popolare e diffusa, con notevoli benefici per tutti alla qualità dell’aria dei centri urbani.

Quale tipo di prato scegliere per il tuo giardino?

Esistono diversi tipi di erba a disposizione per il prato del tuo giardino, ed è fondamentale scegliere la varietà corretta se vogliamo che l’erba cresca in buone condizioni. I fattori che influenzano la scelta sono diversi e devono prevalere sul nostro gusto personale.

Non possiamo piantumare un seme qualsiasi e pensare che germoglierà senza problemi, ma dobbiamo conoscere le caratteristiche del terreno quando scegliamo la varietà da seminare.

Esistono diverse varietà di erba e ognuna di esse è specifica per un clima o per un uso specifico. Se vivi in ​​una zona dove fa caldo non dovresti piantare un prato che non tollera le alte temperature, se vuoi realizzare un campo sportivo dovresti piantare erba che tollera il calpestio e se pianti in una zona che riceve poco sole dovresti scegliere un’erba adatta alle zone ombreggiate.

Di seguito accenneremo di alcuni tipi di prato che puoi trovare in fase di progettazione giardini e delle loro caratteristiche.

I tipi di prato

Quando si semina un prato naturale ci sono due fattori molto importanti da tenere in considerazione:

  • Uso: decorativo, familiare, sportivo. Se vuoi un’erba ornamentale che non calpesterai molto, puoi scegliere un’erba a lame sottili, ma l’erba di un campo sportivo deve essere resistente per sostenere i continui passi.
  • Clima: ci sono semi che crescono bene in climi freschi e umidi, altri sono adatti a climi più caldi. Devi scegliere la varietà adatta al clima in cui vivi, perchè se sbagli è possibile che dopo aver fatto il lavoro di semina non otterrai alcun risultato.
  • Acqua: ci sono varietà di erba che hanno più bisogno di acqua rispetto altre. Nei luoghi in cui le precipitazioni sono scarse sarà consigliabile scegliere una varietà a basso consumo di acqua.
  • Ombra: ci sono piante erbacee che non tollerano luoghi poco soleggiati mentre altre possono crescere bene con poche ore di sole.

Ad ogni modo ricorda che se il processo di semina e manutenzione viene eseguito correttamente, il tuo giardino apparirà verde, denso, sano e resistente esattamente come lo desideri.

Il digitale è l’asse portante del Paese, ma al 5G solo lo 0,5% delle risorse

La digitalizzazione è l’asse strategico fondamentale per guidare l’azione di rilancio del Paese, ma pare che al 5G sia stato destinato appena lo 0,5% delle risorse complessive del Pnrr. Gli iniziali 11 miliardi destinati al digitale si sono ridotti a circa 6 miliardi a dicembre, e negli ultimi mesi sarebbero arrivati a 3,3 miliardi, di cui solo 2,2 per la banda ultralarga e il 5G. Quindi, probabilmente, al 5G è stato destinato solo 1 miliardo. Una cifra assolutamente insufficiente, che allarma gli operatori di Tlc: secondo i calcoli di Asstel per le infrastrutture digitali complessivamente servirebbero almeno 10 miliardi. Quanto agli altri Paesi europei, la Germania ha previsto un investimento di circa 6 miliardi per garantire entro il 2025 il massimo sviluppo del 5G, e la Spagna, a dicembre 2020, ha presentato un piano di oltre 4 miliardi.

La ripresa in Europa è digitale

Come emerge dall’indagine condotta da Kantar per il Vodafone Institute, i cittadini percepiscono una certa urgenza. Quasi tutti concordano che il Pnrr dovrebbe impattare in maniera più urgente il settore sanitario, creare opportunità per le piccole imprese colpite dalla crisi pandemica, creare nuovi posti di lavoro, o almeno salvare quelli esistenti. Ma tra gli aspetti importanti per la ripresa emerge proprio il digitale, in particolare, i servizi pubblici digitali (80%), le competenze digitali (78%), l’accesso a Internet a banda larga (77%), la digitalizzazione della PA (75%), le skill (74%) e la connettività (73%).

L’Rrf è efficace, ma un italiano su tre è dubbioso sui fondi

Dalla ricerca emerge che la conoscenza sul tema digitale è ampia, tanto che l’80% degli europei ne è a conoscenza, e tra gli italiani il livello si alza al 90%. Il 70% degli intervistati poi pensa che il Recovery and Resilience Facility (RRF) dell’Unione europea sia un modo efficace per aiutare i Paesi a gestire la ripresa. Anche se riguardo allo stanziamento di 672,5 miliardi, di cui 209 assegnati all’Italia, l’opinione pubblica rimane scettica. E un italiano su tre esprime dubbi sul fatto che tutto il denaro raggiungerà le aree promesse.

I cittadini attribuiscono valore alla connettività

“Il sondaggio Digitising Europe Pulse sottolinea che i cittadini guardano ai loro governi nazionali per risolvere la grave crisi sanitaria ed economica e dimostra il valore che attribuiscono alla connettività”, commenta Inger Paus, direttore del Vodafone Institute.

“Siamo pronti a collaborare con la Commissione Europea e i governi locali per costruire una società digitale veramente inclusiva e sostenibile per tutti gli europei”, aggiunge Joakim Reiter, direttore External Affairs del Gruppo Vodafone, e presidente del Vodafone Institute.

È quindi arrivato il momento di accelerare, ma se come emerge dai bilanci dell’intero settore Tlc le imprese non hanno i margini per stravolgere i piani di investimento, è indispensabile l’aiuto delle risorse pubbliche, riporta Ansa.

Futuro, 7 italiani su 10 sono pessimisti

Sette italiani su 10 dichiarano che il futuro non sarà migliore del presente, ma che anzi c’è bisogno di stabilità, sicurezza, giustizia sociale. Questi, in estrema sintesi, sono i principali elementi emersi da un sondaggio Ipsos condotto nell’ambito dell’Osservatorio Legacoop  con l’obiettivo di osservare l’evolvere degli andamenti e delle percezioni dell’opinione pubblica italiana su alcuni fenomeni economici e sociali di interesse per la cooperazione. Insomma, i nostri connazionali sono pessimisti di fronte al 2021, e pensano che il futuro non sarà in grado di segnare un miglioramento della situazione attuale.

Voglia di serenità, anche se si vede grigio

La visione che gli italiani hanno del prossimo futuro è grigia: il 73% degli intervistati ha risposto in modo negativo sulle prospettive del 2021 (il 55% prevedendolo poco migliore del presente, il 18% per niente); positiva, invece, la risposta del restante 27% degli intervistati (con il 25% che prospetta un futuro abbastanza migliore del presente ed appena un 2% che lo attende molto migliore). E se il domani fa paura, assumono importanza centrale valori che rispondano al bisogno di costruirne uno di segno diverso. Al primo posto figura la stabilità (espressa dal 44% degli intervistati), seguita dalla sicurezza (38%), dalla giustizia sociale (32%), dalla serenità (31%) e dall’uguaglianza (26%). 

Quali sono i nemici?

L’indagine ha anche esplorato quali siano i “nemici” secondo l’opinione pubblica italiana, quelli che andrebbero combattuti e possibilmente vinti nell’immediato futuro. In base alla ricerca, i nostri connazionali hanno espresso giudizi molto interessanti. Ad esempio, nella lista degli aspetti sociali ed economici che mettono in pericolo il nostro domani, ci sono la corruzione (indicata dal 61% degli intervistati), le tasse (49%), il dilettantismo politico (46%), le ricchezze concentrate in poche mani (45%), la burocrazia (43%). A chiudere la classifica sono la flessibilità lavorativa (8%) e il centralismo (5%).

Il clima del paese peggiora

“Queste analisi ci confermano che, settimana dopo settimana, sta peggiorando il clima del Paese e gli italiani sentono venire meno il coraggio e la voglia di reagire costruttivamente a questa situazione” commenta il presidente di Legacoop Mauro Lusetti. “In parte è ragionevole che sia così, perché questa pandemia si protrae ovunque e francamente non se ne vede un’uscita a breve. Però è compito di tutti che alle difficoltà del momento non si sommino sfiducia e preoccupazioni che potrebbero essere attutite o diminuite affrontando correttamente i problemi. La priorità e la preoccupazione di tutti deve essere quella di dare fiducia al Paese”.

L’esportazione agroalimentare Made in Italy regge alla crisi da Covid-19

L’export agroalimentare Made in Italy regge alla crisi generata dal Covid-19, nonostante con la pandemia si sia verificato un vero e proprio crollo delle esportazioni. A fronte dell’andamento positivo registrato nel primo trimestre dell’anno, i successivi tre mesi, caratterizzati dall’impatto del Covid e dal lockdown, hanno visto un calo in valore delle esportazioni (-3,6%), e soprattutto, delle importazioni (-12,1%), rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La contrazione dei flussi agroalimentari si è concentrata nei mesi di aprile e in particolare di maggio, seguiti, però, da una diffusa ripresa degli scambi a giugno.

Le categorie più colpite dalla contrazione dell’import e dell’export

È quanto emerge dal focus realizzato dal Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, sull’andamento dell’export italiano nel 2019 e nei primi sei mesi del 2020, secondo il quale tra le categorie più colpite dalla contrazione dell’import nel settore primario figurano gli ortaggi, il caffè greggio e i prodotti della silvicoltura e della pesca, mentre nei trasformati, le carni, sia fresche sia preparate, e i prodotti ittici. Per quanto riguarda i comparti dell’export, a risentirne maggiormente sono stati nel settore primario i prodotti del florovivaismo, mentre tra i trasformati le carni, il caffè torrefatto, i prodotti dolciari e il vino.

Ue e Asia le aree più colpite nel secondo trimestre

Tuttavia, secondo il focus del Crea, tale andamento è stato in parte compensato dalla crescita dell’export di altri importanti prodotti del Made in Italy, come la pasta, le conserve di pomodoro e l’olio di oliva, riporta Askanews. Tra le principali aree partner dell’Italia, Ue e Asia sono risultate le più colpite nel secondo trimestre, sia dal lato delle importazioni sia da quello delle esportazioni agroalimentari del nostro Paese. Tuttavia, per la Ue il netto incremento dell’export nel primo trimestre ha compensato il calo nel secondo, determinando un andamento semestrale positivo.

Nel primo semestre 2020 scambi complessivi di merci ridotti di circa il 16%

I flussi dal mercato sudamericano sono rimasti sostanzialmente stabili, mentre sono cresciute le importazioni dal Nord America. Quest’ultimo si conferma il principale mercato di destinazione extra Ue per l’agroalimentare italiano, con un andamento semestrale complessivamente positivo, nonostante il leggero calo del secondo trimestre. Nel primo semestre 2020, il calo tendenziale del valore delle importazioni agroalimentari dell’Italia è stato del 4,6% mentre l’export è cresciuto di oltre il 2%. Nello stesso periodo, gli scambi complessivi di merci dell’Italia si sono ridotti del 16% circa. Il settore agroalimentare ha mostrato, quindi, una maggiore tenuta degli scambi internazionali rispetto ad altri settori, più colpiti dalle restrizioni e dalla conseguente crisi economica.

A novembre è record per la vendita di auto elettriche

Se nel mese di ottobre 2020 in Italia sono state vendute 2.892 auto elettriche, a novembre ne sono state vendute 9.722, sia di tipologia Bev, ovvero auto con batteria elettrica, sia Phev, le auto ibride plug-in. Per ora si tratta del dato più alto del 2020. Soprattutto in un contesto di mercato generale dell’auto che per il mese di novembre ha fatto registrare una riduzione del 9% rispetto al novembre dell’anno scorso, con un consolidato 2020 del -28,93% rispetto al 2019. È quanto emerge dal report Analisi di Mercato riportato da Motus-E, l’associazione che promuove la mobilità elettrica in Italia.

Il 7% del mercato è elettrico

Cresce quindi il mercato delle auto elettriche, che a novembre raggiunge il 7% di quota di mercato, e il 3,66% sul consolidato annuo, contro lo 0,87% di consolidato registrato nello stesso mese nel 2019. Più in particolare, le sole auto elettriche con batteria arrivano al 2% sul consolidato, costituendo ancora il 55% del mercato delle auto sotto i 60 gCO2/km. Non è però da sottovalutare, sempre nel mese di novembre, il sorpasso delle ibride plug-in, con una crescita rispetto allo scorso anno del 274%, rispetto al 156% delle auto a batteria.

A dicembre le auto a batteria elettrica potrebbero triplicare l’immatricolato del 2019

La previsione di Motus-E per la fine dell’anno è di raggiungere numeri importanti per entrambe le tipologie. Se a dicembre verrà confermato il trend di novembre le auto a batteria elettrica potrebbero triplicare l’immatricolato del 2019, e superare il traguardo delle 30.000 unità vendute, riporta Askanews. “I numeri delle immatricolazioni auto di novembre 2020 rafforzano la convinzione che la strada che stiamo percorrendo sia quella giusta e che bisogna lavorare per sostenere una domanda che esiste, è reale e in netta e costante crescita – commenta Motus-E -. C’è comunque tanto da lavorare per realizzare in Italia una rete di ricarica degna di un Paese importante e offrire servizi diversificati e di qualità agli utenti”.

Obiettivo, accelerare lo sviluppo della mobilità elettrica

Motus-E è un’associazione italiana costituita da operatori industriali, mondo accademico e associazionismo con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo della mobilità elettrica attraverso il dialogo con le Istituzioni, il coinvolgimento del pubblico e la promozione di programmi di formazione e informazione. Motus-E è stata fondata a maggio 2018, e oggi conta oltre 60 associati e partner tra costruttori di auto, utilities, e fornitori di infrastrutture elettriche e di ricarica. Ma anche, studi di consulenza, società di noleggio, università, associazioni ambientaliste e associazioni di consumatori.

Contenuti digitali, quasi 1,8 miliardi di spesa nel 2019

Nel 2019 gli italiani hanno aumentato la fruizione di contenuti digitali, spendendo complessivamente 1,785 miliardi di euro, +20% rispetto al 2018.

Il segmento di spesa più rilevante è il Gaming, con circa 1,13 miliardi di euro, il 63% dei volumi complessivi. Seguono video (388 milioni), editoria (141 milioni) e musica (129 milioni). Il mercato dei contenuti digitali in Italia, inteso come i ricavi generati dalle piattaforme di distribuzione, è distinguibile in due componenti, la spesa del consumatore e la raccolta advertising, ovvero i ricavi ottenuti attraverso la vendita di spazi destinati alla pubblicità di terzi all’interno della piattaforma. È quanto risulta dalla ricerca BVA Doxa presentata durante la prima edizione dell’Osservatorio Digital Content, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano.

Gaming, video, editoria e musica

Se nel 2019 il gaming è il segmento di spesa più rilevante rispetto al 2018 tutti i mercati segnano un trend positivo, ma con dinamiche differenti. Il segmento video entertainment presenta il più alto tasso di crescita (+47%), la musica cresce del 33%, il gaming del 13% e l’editoria del 6%. Il rapporto con il numero di Internet user in Italia (circa 39 milioni), evidenzia inoltre una spesa media di circa 46 euro all’anno per utente (+17,5% rispetto al 2018). La spesa media per utente è cresciuta percentualmente meno della spesa complessiva, poiché nell’ultimo anno è cresciuto anche il numero di Internet user (nel 2018 circa 38 milioni), segno di un mercato potenziale ancora in espansione.

La raccolta advertising

I contenuti online attraggono ingenti investimenti pubblicitari. All’interno delle piattaforme di distribuzione di contenuti giornalistici la raccolta advertising è la componente principale di ricavo (514 milioni di euro nel 2019, +4% rispetto al 2018), seguono le piattaforme di video entertainment, che hanno raccolto circa 460 milioni di euro, mentre i ricavi adv delle piattaforme musicali sono pari a 18 milioni di euro (+51%). Nel 2020 però l’advertising digitale in Italia ha subito una forte contrazione, facendo segnare per la prima volta una decrescita a prescindere dalle piattaforme, dai formati e dai contenuti veicolati.

Nel 2020 aumentano i consumi, cambiano i comportamenti degli utenti

Nel 2020 il 40% degli Internet user italiani ha aumentato il tempo dedicato ai contenuti di video entertainment, il 20% ai contenuti editoriali, il 14% ai videogame e il 12% alla musica online. Lo smartphone poi è diventato il device prediletto per fruire dei contenuti online, e continua ad aumentare la dotazione di oggetti connessi, come smart TV e smart speaker. Solo l’11% degli Internet user italiani fruisce però esclusivamente di un solo contenuto online, il 15% di due, il 33% di tre e il 30% di tutte e quattro le categorie di contenuti. Si evidenzia quindi lo sbilanciamento verso una fruizione multi-contenuto, anche se questo riguarda tipicamente le generazioni più giovani, mentre le generazioni più mature tendono a fruire online di una minore varietà di contenuti.

Il lockdown ha peggiorato il benessere psicologico dei lavoratori

I lavoratoti italiani non sempre sono soddisfatti della propria situazione professionale. A causa di questo, tre lavoratori su quattro soffrono di ansia e stress, e il lockdown ha contribuito ad aumentare il diffondersi di patologie come l’insonnia. Se più del 60% delle aziende afferma di promuovere azioni dirette ad aumentare il benessere dei propri lavoratori, puntando soprattutto su flessibilità o benefit economici, sono ancora poche le aziende che scommettono su iniziative volte a sostenerne il benessere psicologico. È quanto emerge dalla ricerca BVA Doxa per Mindwork, la società italiana per la consulenza psicologica online in ambito aziendale

Ansia e stress per un quarto dei lavoratori

Disturbi legati a stati di tensione quali irritabilità, inquietudine, irrequietezza o, ancora, ansia colpiscono almeno una volta al mese circa un lavoratore su quattro. A queste problematiche si sommano, poi, le difficoltà dovute dall’esigenza di bilanciare il lavoro con la vita privata: solo un lavoratore su tre afferma di aver trovato questo equilibrio. Il quadro è stato ulteriormente peggiorato dal lockdown, che ha contribuito ad aumentare le sensazioni di ansia e disagio (+15%), nonché il diffondersi di patologie come l’insonnia (+9%).

Sebbene si tratti di una netta minoranza, c’è però anche chi vive serenamente la propria vita lavorativa: un lavoratore su dieci, infatti, si dichiara pienamente soddisfatto della propria occupazione, e gode di un equilibrio psico-fisico ottimale.

Le conseguenze dell’assenteismo

Quasi un lavoratore su tre ammette di essersi assentato dal lavoro una o più volte a causa di eccessivi carichi di stress e ansia. Questa condizione colpisce in particolare le figure apicali. Da questo quadro, inoltre, emergono anche problemi economici: la Commissione europea stima in 136 miliardi le perdite in produttività causate dall’assenteismo dal posto di lavoro derivato da malessere psicologico. C’è poi chi ha valutato lo scenario più estremo: il 37% dei lavoratori italiani, infatti, ha lasciato un lavoro a causa del malessere emotivo legato all’ambiente professionale. Un fenomeno particolarmente comune tra gli under 34.

Il punto di vista delle aziende

Di fronte a un contesto così gravoso reso ancora più complesso dall’emergenza Covid-19, più del 60% delle aziende promuove azioni dirette ad aumentare il benessere dei propri lavoratori puntando però soprattutto su flessibilità (sia in termini di orario sia di ricorso allo smart working) e/o benefit economici.

Sono ancora in pochi, invece, a scommettere su iniziative volte a sostenere il benessere psicologico dei singoli, anche se oltre il 60% valuterebbe positivamente un’iniziativa in tal senso. Parlare apertamente di disagio psicologico risulta però ancora difficile. Quasi il 50% dei lavoratori non si sente libero di dichiarare il proprio malessere. E se con amici e familiari c’è meno reticenza, l’ambiente di lavoro appare ancora un luogo poco adatto in cui esprimere il proprio disagio.

Il processo di automazione nell’industria

Il processo di automazione è quell’insieme di operazioni e strategie per le quali viene ridotta la presenza di esseri umani chiamati in prima persona a dirigere le operazioni in occasione di un qualsiasi processo produttivo, e al contrario affidare tali operazioni a delle macchine che sono in grado di svolgere ogni compito in maniera molto più precisa e veloce.

Maggiore precisione e velocità di produzione

Lo scopo dunque è quello di limitare sempre di più la presenza umana in ambito produttivo sia per quel che riguardai  beni che per quanto concerne i servizi, mantenendo chiaramente inalterata la qualità o dov’è possibile aumentarla diminuendo contemporaneamente quelli che sono i costi di produzione. In particolar modo a necessitare dell’automazione sono tutti quei processi produttivi automatici che richiedono grande precisione al fine di riuscire a produrre dei pezzi di alta qualità. È questo il caso dei laser che vengono impiegati per tagliare, saldare o marcare ogni tipo di materiale in base a quella che è la richiesta del cliente.

I laser industriali

I laser industriali dunque rappresentano la tecnologia perfetta per migliorare questo processo automatizzato, diminuendo quelli che sono i costi di manodopera e produzione e andando ad aumentare la qualità e la velocità con la quale si è in grado di preparare i pezzi da commercializzare.

Dunque questo è il motivo per il quale sempre più realtà industriali decidono di adottare un laser o sostituire quello vecchio con uno di nuova generazione se lo si adopera già, riuscendo così a fornire al mercato risposte adeguate sia dal punto di vista della qualità dei singoli pezzi che della velocità di produzione ed evasione degli ordini a partire dal momento in cui un cliente manifesta la necessità di ricevere della merce.

Sul sito di  Optoprim è possibile visionare diversi modelli di laser industriali, tra i quali ci sarà sicuramente quello maggiormente in grado di soddisfare specifiche necessità legate alle esigenze produttive di ogni realtà aziendale.