Lavoro e GenZ: “non siamo sfaticati”

I nativi digitali vogliono essere protagonisti del loro futuro e ceo dei loro sogni, al contempo, rigettano alcuni stereotipi che li accompagnano nel mondo del lavoro. Di fatto, non vogliono essere definiti una generazione ‘sfaticata’.

Stando ai risultati dall’ultima ricerca di Zelo sul mondo del lavoro, il 41% dei GenZ preferirebbe lavorare in una grande azienda, anche se le multinazionali piene di superuomini e superdonne ‘sempre performanti’ intimoriscono i ragazzi. Inoltre, vorrebbero esser a capo di un’azienda tutta loro, ma quando si tratta di doversi prendere le responsabilità affermano di volerle condividere con il team, o non volersele ‘accollare’ perché generano ansia (60%).

Il lavoro ideale non è scandito da regole, ma da obiettivi

I ragazzi Z vivono nella costante paura del fallimento e del timore del giudizio. Abituati alla gratificazione immediata dei social, per loro i feedback non sono un plus, ma l’ossessione che li guida nei progetti e nelle loro giornate lavorative. Il feedback deve avere con sé un suggerimento o esempio concreto (38%), e un riscontro negativo li porta a dubitare di sé stessi (37%).

La GenZ ha anche bisogno di leader che sappiano motivare e ‘parlino bene di loro’ con gli altri. Non stupisce quindi che affermino di sentirsi gratificati se ricevono complimenti dal capo o i colleghi (60%) o premi in denaro (37%).
Il lavoro ideale? Non è scandito da regole, ma da obiettivi chiari (42%), meglio se nelle prime fasi di onboarding c’è un tutor dedicato (49%. 

Gli amici al lavoro placano la Fomo

Anche sul posto di lavoro, poi, sono alla ricerca di nuovi amici con cui magari fare i Be Real durante la giornata e con cui andare agli eventi post lavoro per placare la Fomo (Fear of Missing Out), la paura e l’ansia sociale di essere esclusi da esperienze ed eventi.

E anche lo smart working si rivela un ‘falso mito’ per attrarre la GenZ, visto che il 39% non lo ritiene fondamentale se il lavoro piace. Al contrario, un 14% pensa che il lavoro da remoto sia ‘indispensabile’ proprio per limitare quell’ansia sociale che questa generazione vive costantemente.
A fronte di una generazione ‘emotiva’, profondamente diversa da quelle che l’hanno preceduta, anche gli Hr devono rivedere i loro modelli operativi.

La recruting journey va ripensata

Occorre infatti che gli ultimi vent’anni sono gli unici in cui hanno vissuto i ragazzi della GenZ e sono anche quelli in cui si è alleggerito sensibilmente il livello di formalità in ogni ambito della vita.

Ad esempio, ‘dare del lei’ è diventato demodé, le chat hanno preso il posto delle panchine e i grandi must di eleganza sono diventati pezzi iconici per le feste in maschera.
La recruting journey va ripensata: dal linguaggio ai cerimoniali di accoglienza, dai job title all’iter di selezione, tutto quello che si fa per ‘sembrare seri’ oggi non convince più.