Iltalian sounding, il fake food italiano crea un danno di 100 miliardi

In parole tecniche si chiama “Italian sounding” e nel settore food è la contraffazione di cibi spacciati per italiani grazie a nomi che ricordano quelli originali. Tra i casi più eclatanti, ci sono Parmesan, che imita il Parmigiano Reggiano, Mozarella, che viene venduta per mozzarella di bufala, Salsa Pomarola, Zottarella o Spagheroni. Ovviamente, si tratta di prodotti lontanissimi dagli originali e che possono essere definiti a tutti gli effetti fake. Oltre a trarre in inganno gli ignari consumatori, questo fenomeno causa un danno economico gravissimo all’economia del Bel Paese. Oggi l’agropirateria internazionale ha un valore che ha raggiunto i 100 miliardi di euro, e il danno è aumentato del 70% negli ultimi 10 anni. Insomma, la situazione è grave e ßva arginata. 

Promuovere l’originale

E’ stato affrontato proprio questo argomento così delicato nel corso dell’evento web “Made in Italy ed eccellenze della cucina italiana. Viaggio intorno al mondo del 100% Italian Taste” promosso da ITA0039 by ASACERT in collaborazione con la Fondazione UniVerde e con il supporto di Coldiretti e Fondazione Campagna Amica, in partnership con PROMOItalia. Media partners: Italpress, Opera2030, GustoH24, Euro-Toques Europa. Gli esperti hanno affermato concordi che “Servono impegni concreti per facilitare la presenza di prodotti originali made in Italy sulla rete distributiva mondiale, fare la giusta informazione verso il consumatore estero sulla qualità del vero prodotto italiano, promuovere le produzioni dei territori e combattere il fake food, offrire tramite nuove tecnologie la possibilità di leggere in modo immediato il tracciamento del prodotto a scaffale e le attività certificate 100% Italian Taste”. 

Una certificazione che tuteli il Made in Italy
“Ben 8 italiani su 10 pensano che debba esserci una certificazione che si occupi di tutela del made in Italy nel campo della ristorazione. L’omologazione del cibo fatto in laboratorio, di cui si parla sempre più spesso, è contrario alla salute dei consumatori – ha detto Fabrizio Capaccioli, AD Asacert e ideatore del Protocollo ITA0039 -. Ci battiamo per filiere controllate e certificate, in favore proprio della salubrità degli alimenti che finiscono anche sulle tavole dei ristoranti. Certificarsi significa entrare in un network, è una opportunità, per i ristoratori e i produttori italiani di farsi conoscere all’estero. Con il Protocollo ITA0039 e con la nostra APP vogliamo mettere in evidenza coloro che rispettano criteri di approvvigionamento e autenticità certificati, con evidenti benefici in termini di trasparenza nei confronti dei consumatori”.
“I consumatori italiani sono ormai da tempo abituati a destreggiarsi tra le diverse certificazioni e sono perfettamente consapevoli di quanto questo strumento sia utile ad orientare le proprie scelte di consumo verso il prodotto 100% italiano” ha concluso Gianluca Lelli, Capo Area Economica di Coldiretti. “Questa attenzione alla qualità va trasferita anche al consumatore straniero per far capire come difendersi da falsi e italian sounding. La Settimana della Cucina Italiana nel Mondo può servire a rendere sempre più concreto questo obiettivo”.

Cyberattacchi: aumentano quelli che vanno a segno

L’ultimo rapporto sulle minacce informatiche dell’Osservatorio Cybersecurity di Exprivia tra luglio e settembre 2021 registra 273 fenomeni di cybercrimine, tra attacchi, incidenti e violazioni della privacy. Nel complesso, i fenomeni sono in diminuzione del -2,5% rispetto al trimestre precedente, ma le tecniche utilizzate dai cybercriminali sono in costante evoluzione, portando a segno 93 incidenti. In particolare, il numero di attacchi si attesta a 166, mentre si rilevano 14 violazioni della privacy, in crescita del 40% rispetto al trimestre precedente. Per queste ultime, inoltre, il Garante ha emesso circa sette milioni di euro di multe, dovute principalmente all’omessa o del tutto inesistente informativa sulla protezione dei dati personali e al loro utilizzo illecito. Di fatto in Italia gli attacchi informatici che vanno a buon fine sono in costante aumento, provocando danni a istituzioni, aziende e privati cittadini.

Sta crescendo velocemente il rapporto tra incidenti e attacchi

“Dobbiamo tenere la guardia ancora molto alta nella difesa della rete, in quanto in tutta Italia sta crescendo velocemente il rapporto tra incidenti e attacchi. Rispetto al primo trimestre dell’anno, infatti, quando andava a segno solo il 7% degli attacchi, tra luglio e settembre questo rapporto ha raggiunto il 56%, provocando danni sempre più gravi e irreparabili – commenta Domenico Raguseo, direttore Cybersecurity di Exprivia -. Dunque, dall’analisi emerge che da un lato gli attaccanti stanno mettendo in campo tecniche sempre più sofisticate, e dall’altro gli incidenti possono verificarsi anche a distanza di mesi, rendendo i sistemi vulnerabili per parecchio tempo”.

I settori più colpiti: Software/Hardware, Finance e PA

Nel terzo trimestre del 2021 il settore che ha registrato il maggior numero di incidenti è quello del Software/Hardware (34 episodi), quindi società ICT, di servizi digitali, piattaforme di e-commerce, dispositivi e sistemi operativi, che principalmente subiscono il furto di dati, come credenziali di accesso o informazioni sensibili. A seguire il settore Finance, dagli istituti bancari alle assicurazioni, alle piattaforme di criptovalute, con 19 casi, dove oltre al furto dei dati di carte di credito o accesso a conti bancari, si registra un aumento delle richieste di denaro. Nella PA, invece, sono stati registrati 14 incidenti, che hanno principalmente provocato ‘server interruption’, ossia l’interruzione dei sistemi informativi per bloccare l’operatività degli uffici pubblici.

Criminali sempre più scaltri, ma c’è maggior cultura sulla cyber-sicurezza

Se da una parte i criminali diventano sempre più scaltri affinando le loro tecniche, dall’altra il lungo lavoro di cultura sulla cyber-sicurezza, un tema sotto i riflettori dall’inizio della pandemia, inizia a dare i suoi frutti. Decresce infatti del 19% rispetto al trimestre precedente l’utilizzo della tecnica del phishing: le persone prestano più attenzione a tutte le modalità di adescamento tramite e-mail ingannevoli o social network. D’altro canto si riscontra un notevole aumento (+22%) nell’utilizzo di malware come vettore di attacco per sottrarre informazioni sensibili, principalmente mediante lo spionaggio delle attività bancarie degli utenti.

Calano le richieste di credito da parte delle aziende

Il consolidamento della ripresa economica, con il conseguente aumento dei flussi di cassa, ha attenuato le richieste di credito da parte delle aziende, e dopo il picco del 2020 ne riporta i volumi ai livelli pre-Covid. In particolare, nel terzo trimestre 2021 le esigenze di liquidità delle imprese diminuiscono del -18,8% rispetto al Q3 2020. Il trend in atto riguarda sia le società di capitali, che nel terzo trimestre dell’anno hanno fatto segnare un -13,5%, sia le imprese individuali, per le quali la contrazione è stata del -27,2%, in virtù della progressiva normalizzazione della situazione delle realtà particolarmente esposte agli effetti della pandemia. Allo stesso tempo, però, si assiste a una crescita per l’importo medio richiesto. È quanto emerge dall’analisi delle istruttorie di finanziamento registrate su EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

Migliora la congiuntura economica: meno tensioni sul fronte della liquidità
“Analogamente a quanto rilevato anche nel precedente trimestre, anche nel terzo trimestre dell’anno si conferma il trend di rallentamento delle richieste di credito delle imprese, che hanno meno tensioni sul fronte della liquidità grazie al progressivo consolidamento delle prospettive di crescita economica – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. – La combinazione tra il miglioramento della congiuntura economica e gli effetti dei provvedimenti straordinari varati per minimizzare l’impatto della pandemia sull’economia reale, in primis le moratorie, hanno avuto un impatto significativo sul contenimento della rischiosità creditizia e questo ha favorito anche politiche di erogazione più distese”.

Importo medio richiesto: +20,5% nel terzo trimestre 2021
Nell’ultimo aggiornamento del Barometro CRIF si conferma anche il deciso incremento dell’importo medio richiesto (+20,5%), che nel terzo trimestre si attesta a 103.701 euro. Si tratta di una decisa impennata rispetto al valore mediamente richiesto, non solo nel 2020, ma anche negli anni precedenti. Complessivamente più di 5 richieste su 10 presenta un importo inferiore ai 20.000 euro, in funzione della preponderanza delle istruttorie riconducibili a micro e piccole imprese. Per quanto riguarda le imprese individuali, le richieste di credito presentano importo medio pari a 37.324 euro (+24,1% rispetto al corrispondente periodo 2020), mentre per le società di capitali l’importo medio richiesto ammonta a 138.206 euro (+14,6%).

In Trentino-Alto Adige l’importo medio è più elevato
A livello regionale, nel terzo trimestre del 2021 si registrano contrazioni particolarmente significative delle richieste di credito soprattutto nelle Marche (-25%), Basilicata (-24,7%) e Liguria (-22,9%).
Il Trentino-Alto Adige, invece, è la regione caratterizzata dall’importo medio più elevato (151.335 euro), seguita da Lombardia (111.003 euro) e Lazio (106.534 euro). All’opposto, l’ammontare più basso è stato riscontrato in Valle D’Aosta (43.598 euro), Sicilia (57.808 euro) e Sardegna (66.560 euro).

Gli over 60 italiani sono i più digitali dopo la pandemia

Gli over 60 italiani dopo la pandemia sono diventati più digitali, e rispetto all’inizio dell’emergenza sanitaria utilizzano più agevolmente i dispositivi e le app. I ‘nostri’ ultrasessantenni poi sono in testa a livello mondiale per quanto riguarda la digitalizzazione delle abitudini. E in questa fascia d’età i servizi più popolari sono videochiamate, shopping e streaming di film. Ma come sono cambiate le abitudini digitali degli over 60 nell’ultimo anno e mezzo, e cosa si aspettano gli ultrasessantenni quando la pandemia sarà finita? A queste domande risponde l’indagine internazionale condotta da Readly, il servizio di abbonamento digitale che consente l’accesso illimitato a circa 5000 riviste italiane e internazionali tramite un’unica app, in collaborazione con YouGov.

Quali sono i servizi più utilizzati dagli ultrasessantenni?

Insomma, il 60% degli italiani di oltre 60 anni di età conferma che il proprio stile di vita è diventato più digitale nei mesi di lockdown. Più in particolare, nell’ultimo anno e mezzo i ‘nostri’ ultrasessantenni si sono dedicati maggiormente a videochiamate (34%), allo shopping online (28%), alla visione di film in streaming (21%), e alla lettura di libri, riviste e quotidiani in digitale (19%).

Primi al mondo per digitalizzazione delle abitudini 

In questa fascia d’età, poi, il 63% degli intervistati ritiene che il proprio stile di vita continuerà a essere sempre più digitale anche dopo il Covid. Se paragonate alle risposte degli intervistati in altri Paesi in cui si è svolta l’indagine, gli ultrasessantenni italiani sono di gran lunga coloro che nel corso della pandemia hanno maggiormente ‘digitalizzato’ le proprie abitudini, contro il 48% degli svedesi, il 44% dei britannici, il 40% degli olandesi, il 38% degli australiani, il 39% degli americani, e il 25% dei tedeschi.

Nel post-Covid il 43% si aspetta di poter tornare a viaggiare liberamente

Ma cosa desiderano maggiormente gli Over 60 quando la pandemia sarà finita? Soprattutto uscire e viaggiare. La maggior parte degli italiani con più di 60 anni, il 43%, nel post-Covid si aspetta di poter tornare a viaggiare liberamente. Nelle preferenze seguono le cene con famiglia e amici (20%), la partecipazione a eventi, come concerti e manifestazioni sportive (14%), e poter incontrare parenti più anziani (4%), riporta Ansa.
“La pandemia ha portato con sé curiosità e conoscenza su come il mondo digitale può avvicinarci gli uni agli altri, ottimizzare il nostro benessere e facilitare la quotidianità – ha spiegato Marie Sophie Von BIbra, head of growth di Readly per l’Italia -. È molto bello vedere che anche chi è più avanti con l’età scopre le app di lettura come Readly, sia per l’intrattenimento sia per informarsi”.

Il 50% degli italiani è colpito da malessere psicologico legato al lavoro

Metà degli italiani soffre di malessere psicologico legato al lavoro. Lo rivela una ricerca di BVA Doxa per Mindwork, società italiana di consulenza psicologica online specializzata in ambito aziendale. Quasi l’85% degli intervistati considera infatti il proprio benessere psicologico correlato al benessere sul lavoro, e la quota di chi dichiara di soffrire di frequenti problemi di ansia e insonnia per motivi collegati al lavoro sfiora il 50%.
“L’80% delle intervistate e degli intervistati ha provato almeno un sintomo correlato al burnout – spiega Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro e customer success manager di Mindwork -. Questo purtroppo non sorprende: la durata dell’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova le persone”.

La salute psicologica fatica a essere ‘normalizzata’ in azienda

Il 40% del campione intervistato riferisce di non sentirsi libero di parlare del proprio malessere emotivo nel luogo di lavoro, tanto che in continuità con i dati del 2020, l’ambiente di lavoro si conferma il luogo meno adatto per esprimere il proprio disagio. Anche tra coloro che si sentono tranquilli nel condividere il proprio malessere tra le mura di casa. La salute psicologica, insomma, fatica a essere ‘normalizzata’ in azienda, sebbene sia una necessità urgente. Una persona su tre dichiara infatti di essersi assentata dal lavoro a causa di malessere emotivo dovuto ad ansia e a un carico eccessivo di stress che non riusciva più a sostenere.

I lavoratori più giovani più propensi a lasciare il lavoro per disagio emotivo

Secondo i dati emersi sono i lavoratori più giovani ad avere una maggior propensione a lasciare il lavoro a causa di un malessere emotivo a esso correlato. Il 49% degli under 34, infatti, si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica, e la tendenza è in aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2020. Non è un caso quindi che il 92% degli intervistati ritenga importante che l’azienda si occupi attivamente del benessere psicologico dei dipendenti. Tuttavia, se il 42% ritiene inefficaci le iniziative aziendali volte a ridurre lo stress legato al lavoro nelle aziende dove è previsto un servizio di supporto psicologico il 60% delle persone lo valuta positivamente. Anzi, considera necessario che il servizio continui anche quando l’emergenza Covid-19 sarà finita.

Il 40% dei lavoratori è preoccupato di rientrare al lavoro a tempo pieno

Quanto al ritorno in azienda, circa il 40% si dice preoccupato del rientro a tempo pieno, al punto che il 20% cambierebbe lavoro se costretto a rientrare. I motivi principali di tale preoccupazione sono la gestione tempo, il vissuto di stress e la gestione familiare. Tanto che il 62% dei lavoratori e delle lavoratrici valuta utile un servizio di supporto psicologico per fronteggiare momenti di stress e disagio legati al rientro in azienda. Quota che, rispetto al 2020, è salita di 8 punti percentuali (dal 54% al 62%). 

L’export italiano supera i livelli pre-pandemia, entro il 2023 varrà 532 miliardi

L’export italiano continua la sua crescita, e rispetto al calo in valore del 9,7% registrato nel 2020 nel 2021 si attende un rimbalzo dell’11,3%, che permetterà un pieno ritorno ai livelli pre-pandemia. Le previsioni stimano una crescita continua anche nel prossimo biennio, con un aumento ulteriore del 5,4% nel 2022 e nel biennio successivo una crescita in media del 4,0%. 
“Secondo le rilevazioni dell’Ufficio Studi di PwC l’export italiano, che nel 2021 ha già superato i livelli pre-pandemia, entro il 2023 toccherà 532 miliardi di euro, con una crescita del 24% rispetto al 2020 – spiega Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC Italia -. A incidere positivamente saranno anche i 6,8 miliardi di risorse stanziate dal PNRR e i fondi complementari a sostegno diretto dell’agroalimentare italiano”. 

Aumenta il valore per le esportazioni agroalimentari

L’agroalimentare è il comparto che ha risentito meno della crisi pandemica, non essendo stato colpito da particolari restrizioni o fermi produttivi. Il Food, ma anche l’hospitality, restano infatti comparti chiave del tessuto produttivo italiano sui quali investire per il benessere del Paese. Secondo i dati Interscambio Settoriale Agroalimentare 2021, dell’Osservatorio Economico Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il valore dell’export nel mercato agroalimentare è in continua crescita, così come il suo peso sul totale dell’export italiano, che nel 2021 aumenterà dell’11% rispetto al valore di 44,6 miliardi di euro nel 2020. 

Settore alimentare, tassi di crescita superiori ai livelli pre-Covid fino al 2024 

Le previsioni dell’Ufficio Studi di PwC Italia per il periodo 2021-2024 segnalano tassi di crescita superiori ai livelli pre-Covid sia per gli scambi mondiali sia per le esportazioni italiane nel settore alimentare. Nel 2020 il valore delle vendite all’estero di prodotti italiani è rimasto in crescita, così come il suo peso sul totale dell’export italiano, passato dal 9,2% nel 2019 al 10,3% nel 2020. Ma a guidare la ripresa del settore agroalimentare sono anche i cambiamenti di consumo. Nel 2022 si mangerà più italiano, biologico e locale. La pandemia ha modificato la relazione dei consumatori con il cibo, evidenziando una maggiore attenzione per la salute, la cura per l’ambiente, con una propensione per il cibo italiano, biologico e locale.

Hospitality, ritorno a ritmi di sviluppo accelerati per gli scambi mondiali

Anche l’export italiano della Ristorazione professionale è in forte risalita, e nei primi tre mesi del 2021 registra un aumento del +20,8% a valore rispetto al primo trimestre 2020, superando anche i livelli pre-Covid con una crescita del +7,5% sullo stesso periodo del 2019. Entro il 2024 si prevede un ritorno a ritmi di sviluppo accelerati per gli scambi mondiali. Fra i segmenti più dinamici si evidenziano proprio la Ristorazione professionale (+6,9% medio annuo nel periodo 2021-’24 a valore) e la vendita di Caffè e macchine (+7% medio annuo). 
Anche a livello italiano, l’export dei servizi di hospitality sarà guidato dai comparti Caffe e macchine, panificazione e pasticceria.

Shopping Non Food, con la pandemia cala la propensione ai consumi

La campagna vaccinale contro il coronavirus avanza in tutta Italia, ma le conseguenze della pandemia si fanno ancora sentire. Anche sulla propensione ai consumi non alimentari, e sulla scelta di dove fare acquisti da parte degli italiani. Effetti che proseguiranno nei prossimi mesi del 2021, con probabili strascichi anche nel 2022. Di fatto l’emergenza sanitaria ha cambiato l’approccio ai consumi Non Food delle famiglie italiane: la conferma arriva dall’indagine condotta da Metrica Ricerche per conto dell’Osservatorio Non Food 2021 di GS1 Italy, che ha rilevato il sentiment dei consumatori Non Food in termini di evoluzione dei comportamenti di acquisto, anche digitali, nonché di visita alle differenti location commerciali e ai singoli punti vendita.

Il 44% degli italiani limita gli acquisti ritenuti superflui

Dai dati emersi dall’Osservatorio sembra che la preoccupazione per l’emergenza sanitaria abbia fatto diminuire la spesa non alimentare. Tra gli intervistati, il gruppo più numeroso è infatti quello di coloro che si dichiarano abbastanza preoccupati per la situazione economico-sanitaria (44%), e che per questo, cercheranno di acquistare limitatamente i prodotti non alimentari, posticipando o annullando gli acquisti ritenuti superflui. Il 37% degli intervistati invece non è preoccupato e ritiene che riprenderà ad acquistare prodotti Non Food, e nel 15% dei casi aumenterà lo shopping, in particolare nell’area del “fai da te”. Il restante 19% invece è in stato di allarme, e si dice intenzionato a ridurre gli acquisti, preferendo canali e punti vendita con più promozioni. In un caso su tre, poi, rinuncerà del tutto, rinviando le spese al 2022.

Si torna a comprare negli store fisici? Dipende dai prodotti 

A essere influenzate dall’emergenza sanitaria sono poi anche le scelte relative ai canali di acquisto. Le preoccupazioni economiche continuano a incidere su dove e cosa comprare in ambito non alimentare, anche se in misura minore rispetto ai mesi scorsi. Se un anno fa circa il 50% dei consumatori aveva cambiato i canali e i punti vendita dove fare la spesa, ora la percentuale di chi intende farlo è scesa al 30-40%, con punte più alte negli elettrodomestici e nei prodotti di telefonia/informatica, e valori più bassi nell’ottica. La ricerca di store fisici più sicuri per la salute varia dal 18% al 28%, a seconda dei settori, ed è sopra la media nei grandi elettrodomestici, nel bricolage e negli articoli per la casa.

Il Non Food alla conquista del web

Un altro aspetto che continuerà a essere influenzato dalla situazione contingente è la frequentazione dei centri commerciali. Il 40% dei visitatori abituali dichiara infatti un possibile calo della frequenza, e oltre un terzo è intenzionato a ridurla in modo deciso. Un altro 54% invece afferma di non voler cambiare le proprie abitudini, e un ulteriore 6% afferma di volerli visitare più spesso. Ma a segnare il post pandemia è sicuramente l’accelerazione per gli acquisti online dei prodotti Non Food, e il trend è confermato anche per la seconda parte del 2021. Il 40-50% del campione afferma infatti che aumenterà i propri acquisti su internet per quasi tutte le categorie di prodotti Non Food. Una tendenza ancora più forte nei settori ormai appannaggio dell’e-commerce, come libri, giocattoli, tecnologia e attrezzature sportive.

Sono più di 200 le nuove professioni dell’economia circolare

Sono oltre 200, e in continua crescita, le nuove professioni “generate” dell’economia circolare. Tra le nuove professioni censite da un’indagine realizzata da Randstad Research, emergono nuove figure professionali specifiche, quale Designer circolare, gestore della logistica inversa, esperto di blockchain per la sostenibilità, tecnico di gestione della filiera, carrellista digitale, passando per gli imprenditori e gli ingegneri gestionali che dovranno guidare le aziende nel processo di innovazione.
In ogni caso, al di là delle competenze specifiche richieste, sono i temi della circolarità e della sostenibilità a fare da collante tra i diversi ambiti professionali, ma anche tra le mansioni stesse. Le professioni dell’economia circolare richiedono infatti che le professioni entrino in connessione reciproca, intrecciandosi tra loro.
Si sta affacciando non solo un nuovo modello economico, quindi, ma anche un nuovo modello di lavoro.

È richiesto un mix di conoscenze ‘ibride’

Secondo la ricerca di Randstad le professioni coinvolte richiedono un mix di conoscenze ‘ibride’, ovvero, sia tecnico-scientifiche specifiche dell’ambito di riferimento, sia trasversali al settore. Un aspetto che evidenzia l’insufficienza di persone adeguatamente preparate per ricoprire questi ruoli, “con il rischio – commenta Randstad – di esasperare nei prossimi anni la cronica difficoltà di reperimento di personale”.
Secondo la ricerca di Randstad sarà quindi necessario superare i vecchi modelli di organizzazione del lavoro, e sarà necessario passare dalla segmentazione delle mansioni lavorative al collegamento tra queste.

Professioni centrali, specialistiche, e professioni emergenti trasversali

Nel repertorio aperto delle nuove professioni dell’economia circolare, Randstad Research ha rappresentato 15 ‘costellazioni’ professionali, costituite da tre gruppi di professioni: professioni centrali, professioni specialistiche, presenti solo in alcuni tipi specifici di aziende, e professioni emergenti trasversali.
Dall’analisi delle competenze richieste, nelle oltre 200 professioni individuate da Randstad Research, sono fondamentali principalmente le conoscenze tecnico-scientifiche, lo spirito di progettazione, l’attitudine al cambiamento, la capacità di gestione e di controllo, la conoscenza delle norme, la vocazione alla comunicazione e quella al coordinamento. Si tratta quindi, riporta Ansa, di profili ibridi che richiedono conoscenze più ricche del comune, e una maggiore capacità di mettersi ‘in connessione’ con altre professioni.

Il nostro sistema formativo deve attrezzarsi rapidamente

“È necessario sostenere lo sviluppo dell’economia circolare evitando colli di bottiglia nelle risorse umane – dichiara Daniele Fano, coordinatore del comitato scientifico di Ranstad Research – nei prossimi mesi, in cui l’Italia sarà impegnata nella transizione sostenibile, è destinato ad aggravarsi il problema del matching, la difficoltà a riempire i posti vacanti che già oggi ci affligge. Il nostro sistema formativo deve attrezzarsi rapidamente per formare il capitale umano che nei prossimi anni dovrà programmare, realizzare, e gestire tecnologie e servizi dell’economia circolare”.
Un piano per la formazione, si legge su ecologica.it, che secondo Fano dovrebbe riguardare “dalla scuola materna alla formazione continua”.

Pmi più resilienti se evolvono secondo le direttrici del Next Generation

Secondo il report La nuova generazione di Aziende Private – Il percorso verso la resilienza e le opportunità del Next Generation Eu, di Deloitte Private, l’elemento che concorre alla resilienza delle Pmi è la tecnologia, e come priorità strategica la trasformazione digitale. Il tessuto produttivo italiano attribuisce un ruolo primario alla digitalizzazione, spinta proprio dalla crisi pandemica, con un aumento del 23% degli investimenti a contrastare il calo di fatturato e redditività. Nell’ultimo anno infatti il fatturato delle Pmi si è contratto in media del 10,6% e i margini operativi lordi hanno registrato una contrazione stimata al 22,8%, rischiando di metterne a repentaglio la resilienza. Ma secondo Deloitte Private, le organizzazioni a elevata resilienza sono il 31%, il 59% risulta a media resilienza, e solo il 10% risulta essere a bassa resilienza

Adeguare la visione strategica alle necessità imposte dalle contingenze

Per più di 3 leader aziendali su 4 la pandemia ha rappresentato un momento di riflessione durante il quale hanno appreso come affrontare una situazione delicata seguendo logiche svincolate dal business. In questo momento, le Pmi sono quindi chiamate ad attuare un tempestivo cambio di passo, interrompendo l’inerzia data dal contesto di incertezza e assumendo un’attitudine dinamica che abbracci elementi nuovi quali complessità, interdipendenza e multidimensionalità. L’obiettivo è quello di adeguare la propria visione strategica alle necessità imposte dalle contingenze, senza dimenticare le proprie specificità e punti di forza. I cinque principi a cui i leader delle Pmi devono continuare a ispirarsi nel percorso verso la resilienza, e che consentono di prosperare nonostante le difficoltà, sono prontezza, adattabilità, collaborazione, fiducia, responsabilità.

Il NGEU proietta Europa e Italia verso un futuro più digitale e sostenibile

Nell’ottica di facilitare la crescita, per le aziende risulta cruciale beneficiare dei provvedimenti emanati dai governi a sostegno dell’economia. In particolare, nel contesto europeo, il NGEU proietta l’Europa e l’Italia verso un futuro più digitale, sostenibile e inclusivo, un riferimento prioritario nel breve termine soprattutto per le Pmi italiane.
Quanto al contesto italiano, l’impatto della pandemia ha impresso un’accelerazione sulle priorità delle Pmi che si trovano in un percorso di trasformazione. Tanto che entro i prossimi 12 mesi, più di 8 aziende su 10 investiranno in digitalizzazione e innovazione al fine di migliorare la propria redditività, dato più evidente per le organizzazioni che si stanno già preparando al futuro post-pandemia.

Gli asset fondamentali per il successo di una strategia resiliente

Secondo la prospettiva di Deloitte Private, basata sul confronto con le aziende di equivalente dimensione e struttura organizzativa del Network internazionale Deloitte Private, le esigenze organizzative delle Pmi si possono raggruppare in sette categorie: strategy, capital, growth, operations, technology, work e society. Nella costruzione di organizzazioni più resilienti, si legge su ftaonline.com, in grado di resistere meglio alle crisi future, c’è una comune consapevolezza da parte delle aziende rispetto a queste sette priorità organizzative, le quali possono essere considerate come asset fondamentali per il successo di una strategia resiliente.

Università, in Italia crescono le studentesse. Dal Censis i migliori atenei

Più immatricolazioni e soprattutto più ragazze. È questo, in estrema sintesi, l’aspetto sociologico che emerge dalle classifiche delle università italiane elaborate dal Censis e diventate ormai un appuntamento annuale a supporto dell’orientamento di migliaia di studenti. In base a quanto evidenziato dall’istituto di ricerca, nell’anno accademico 2020-21 si è registrato un aumento del 4,4%  degli iscritti, confermando così una tendenza in crescita che si ripete da 7 anni. Calcolato sulla popolazione diciannovenne, il tasso di immatricolazione ha raggiunto quota 56,8%. Buone notizie anche per quanto riguarda le “quote rosa”. Nel 2020, a fronte di un tasso di immatricolazione maschile pari a 48,5%, quello femminile è stato del 65,7%. Per le ragazze si è registrato un incremento annuo del 5,3% rispetto al +3,3% dei ragazzi immatricolati. Le facoltà dell’area disciplinare Artistica-Letteraria-Insegnamento sono ancora le preferite dalle studentesse, con il 77,7% delle immatricolazioni, mentre l’area Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ne “conquista” solo il 39,4%, anche se con una crescita costante da un anno all’altro.

I criteri della ricerca

Le classifiche delle università italiane elaborate dal Censis sono basate sulla valutazione degli atenei (statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensioni) in relazione a strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio e altri interventi in favore degli studenti, livello di internazionalizzazione, comunicazione e servizi digitali, occupabilità. A questa classifica si aggiunge il ranking dei raggruppamenti di classi di laurea triennali, dei corsi a ciclo unico e delle lauree magistrali biennali secondo la progressione di carriera degli studenti e i rapporti internazionali.

Bologna, Perugia, Trento e Camerino le università numero uno

Tra i mega atenei statali (quelli con oltre 40.000 iscritti) nelle prime due posizioni si mantengono stabili, rispettivamente, l’Università di Bologna (punteggio complessivo di 91,8) seguita dall’Università di Padova (88,7). Scendendo nella classifica troviamo La Sapienza di Roma (85,5), e l’Università di Firenze (85,0). Tra i “grandi” (atenei da 20.000 a 40.000 iscritti) la medagia d’oro anche quest’anno va a Perugia (93,3), seguita da Salerno, che sale di 6 posizioni (91,8), e quindi dall’Università di Pavia (91,2). Per quanto riguarda i medi (da 10.000 a 20.000 iscritti) anche quest’anno l’Università di Trento è pima nella classifica dei medi atenei statali (97,3), mentre il secondo e il terzo posto sul podio spettano rispettivamente a Siena (94,0) e Sassari (92,8). Nella classifica dei piccoli atenei statali (fino a 10.000 iscritti) resta salda in prima posizione l’Università di Camerino (98,2), seguita dall’Università di Macerata (86,5). Scalano la classifica due atenei laziali, l’Università di Cassino (84,7) e l’Università della Tuscia (84,3).

Università private e Politecnici, Milano è regina

Tra i grandi atenei non statali (oltre 10.000 iscritti) è in prima posizione anche quest’anno l’Università Bocconi (96,2), seguita dall’Università Cattolica (80,2). Il capoluogo lombardo è al top anche per quanto riguarda i Politecnici: al numero uno c’è il Politecnico di Milano (93,3 punti), seguito dallo Iuav di Venezia (90,3) e dal Politecnico di Torino (90,2).