Il ruolo della donna in Italia e gli stereotipi: una ricerca fa il punto

Ipsos ha recentemente presentato i risultati italiani dello studio Being Woman: un progetto di ricerca nato con l’obiettivo di aiutare l’audience a comprendere la donna attraverso una chiave di lettura diversa, ovvero quella di tipo culturale. In particolare, l’analisi vuole mettere in luce quelli che sono i diversi aspetti dell’empowerment femminile nelle varie culture del mondo, a partire dall’Italia. Il progetto di ricerca, a cui hanno già aderito diversi Paesi, tra cui Cina, US, Francia e Italia (altri se ne aggiungeranno), ha l’obiettivo di descrivere le sfumature culturali e le differenze nella condizione femminile, nella rappresentazione, nelle ambizioni e per rispondere a due domande: cosa vogliono le donne? E cosa possono fare le aziende per ingaggiarle e rappresentarle in maniera vera e meno stereotipata? 

Le condizioni per cui può esistere un vero empowerment femminile

Il vero empowerment femminile si crea solo quando le tensioni sono risolte ed esiste un allineamento tra diversi fattori, avvisa lo studio. In particolare, sono tre le direttrici per cui una vera eguaglianza possa esistere, al di là degli stereotipi. Sono le risorse sociali, ovvero la possibilità di avere uguale accesso ai giusti asset di potere, quali ad esempio istruzione, indipendenza finanziaria, processo decisionale, lavori, compiti; i sentimenti, cioè la sicurezza in se stesse e la possibilità di ridurre il divario tra ciò che desidera e ciò che effettivamente si fa, senza cadere nella  trappola dell’iper-performance, lo stereotipo ancora presente in Italia che vuole le donne super impegnate a fare “bella figura” in tutti i campi condannandole alla frustrazione; infine, i comportamenti, intesi come la libertà e la capacità di diventare chi si vuole, anche contro le norme sociali, in molti casi sfruttando le tensioni per trovare un percorso di empowerment. 

La pubblicità e la realtà oltre i cliché

Il 78% degli intervistati nella ricerca ritiene che la pubblicità ha il potere di influenzare come le persone si vedono e si percepiscono. La comunicazione è stata parte del problema nella definizione di stereotipi femminili in passato, ma ha l’opportunità di essere parte della soluzione in futuro. In che modo? Rappresentando la vita vera, al di là degli stereotipi. L’83% vorrebbe vedere pubblicità che rappresentino persone più reali, diverse dai soliti cliché e canoni di bellezza. Il 70% vorrebbe vedere pubblicità con famiglie anche diverse dal solito, più attuali. Il 79% vorrebbe vedere pubblicità in cui le donne sono rappresentate in maniera diversa, meno stereotipata. Le modalità di empowerment sono culturalmente situate, ciò che viene considerato emancipatorio in un Paese, potrebbe non esserlo in un altro e, per questo, localizzare la rappresentazione è necessario. Una rappresentazione positiva della donna guida la performance delle creatività e, in ultimo, il business.

In un anno le ricerche online di prodotti per dormire crescono del +26% 

Il 18 marzo in tutto il mondo viene celebrato il World Sleep Day, una giornata dedicata alla promozione della cultura e della consapevolezza sull’importanza del sonno. E non è un caso se al sonno venga dedicata addirittura una giornata a livello globale: secondo quanto riportato da una ricerca condotta da Bva Doxa, quasi un italiano su tre dorme infatti un numero insufficiente di ore, e uno su sette riporta una qualità insoddisfacente del proprio sonno. Per indagare ulteriormente il fenomeno, il portale internazionale di comparazione prezzi idealo ha testato l’interesse degli italiani sul mondo del sonno, verificando che le categorie legate al settore hanno registrato nel corso dell’ultimo anno un balzo del +26% rispetto all’anno precedente

Cuscini, piumini e farmaci contro insonnia e stress +200% in un anno

Tutto questo “è sintomo che si coglie sempre di più l’importanza di un sonno ristoratore, anche per godere di una migliore salute”, commentano gli analisti di idealo.  Di fatto, secondo idealo, le tipologie di prodotto che hanno destato più interesse agli internauti nel 2021 sono stati i cuscini, i piumini e i farmaci contro l’insonnia e lo stress, le cui ricerche online hanno interessato oltre il +200% dell’utenza rispetto ai 12 mesi precedenti. Il portale rileva però dati di un certo impatto anche per gli scaldasonno (+90%), ma soprattutto per i materassi, la cui ricerca cresce del +164%.

Più divani letto e tappi per le orecchie

A calare è invece l’interesse per i materassi a molle, che si posizionano solo all’ottavo posto della classifica dei più cliccati secondo idealo, superati anche dai materassi ad acqua, piazzati al sesto posto.
Al contrario, cresce l’interesse per i divani letto (oltre +200%), perfetti per offrire comfort notturno anche ai propri ospiti, per le poltrone relax (+18%), ideali per i pomeriggi più sonnolenti, e i tappi di protezione dell’udito (+5%), perché un sonno rigenerante dipende anche dal non sentire russare la propria dolce metà, oppure, da eventuali rumori esterni.

Scendono i prezzi dei prodotti per dormire bene 

Insomma, al di là dei prodotti per il sonno e il risposo, riporta Adnkronos, “L’e-commerce si rivela, dunque, degno alleato di chi vuole dormire bene”, commentano gli esperti del portale. Per gli analisti di idealo, inoltre, è interessante notare come nel corso dell’ultimo anno i prezzi online dei prodotti legati al sonno siano nettamente diminuiti per molte categorie. Tanto che in media le reti a doghe hanno registrato decrementi di costi del -42%, i letti del -35%, e i farmaci per insonnia e stress del -13%. E per chi vive alle giuste latitudini, idealo segnala anche un decremento dei costi per i letti da giardino, scesi del -8% in un anno.

In 20 anni il costo della vita aumentato di tre cifre, gli stipendi solo di due

In vent’anni i prezzi sono raddoppiati, gli stipendi invece no: lo rivela Lo rivela una indagine condotta dall’associazione dei consumatori Consumerismo No Profit e dal Centro Ricerca e Studi di “Alma Laboris Business School”, società specializzata in Master e Corsi di Alta Formazione e specializzazione per professionisti, che ha messo a confronto i prezzi di un paniere di 100 elementi tra beni e servizi, analizzando le differenze esistenti tra i listini al dettaglio in vigore ai tempi della lira e quelli odierni.

Alcuni listini addirittura triplicati

Lo studio evidenzia che i prezzi di beni e servizi hanno subito una costante crescita negli ultimi anni, al punto che i listini di alcuni prodotti sono addirittura triplicati rispetto al 2001, quando in Italia era ancora in vigore la lira. E’ il caso, segnala Ansa, del cono gelato che nel 2001 costava 1.500 lire (0,77 euro), mentre oggi viene venduto nelle gelaterie in media a 2,50 euro (+224,7%). Una semplice penna a sfera ha subito un incremento del +207,7%, passando dalle vecchie 500 lire (0,26 euro) a 0,80 euro. Anche mangiare fuori è decisamente più costoso: la classica margherita consumata in pizzeria ha subito un rincaro del +93,5%, il supplì è aumentato quasi del 124%, e il tramezzino al bar addirittura del +198,7% – spiegano Consumerismo e Alma Laboris Business School -. La colazione al bar (cappuccino e cornetto) costa il 93,3% in più, mentre la pausa caffè è più salata del 55,2% (tuttavia negli ultimi giorni i listini dei pubblici esercizi stanno subendo ritocchi a rialzo a causa del caro-bollette).

Rivoluzionate anche la abitudini

Col passaggio alla moneta unica sono cambiate anche le abitudini degli italiani: se nel 2001 la mancia minima al ristorante era pari a 1.000 lire a persona, oggi in media si lasciano 2 euro sul tavolo (+284,6%) – analizzano ancora Consumerismo e Alma Laboris Business School. Brutte notizie anche sul fronte dei trasporti: oltra alla benzina, i cui listini alla pompa sono più che raddoppiati rispetto al 2001, oggi costa di più prendere l’autobus, con il biglietto che ad esempio a Milano è passato da 1.500 lire (0,77 euro) agli attuali 2 euro (+159,7%). Acquistare una automobile? Per una utilitaria bastavano 10.300 euro nel 2001, oggi la spesa (senza incentivi e rottamazione) si aggira attorno ai 16.150 euro per una piccola utilitaria di media categoria. Migliore la situazione per i prodotti per l’igiene e la cura personale: per shampoo, deodoranti, schiuma da barba, pannolini, carta igienica, spazzolini da denti, bagnoschiuma, i rincari sono al di sotto del +50%. Ma – avvertono Consumerismo e Alma Laboris – si spende di più per riempire la dispensa di casa: tra i prodotti alimentari, quelli che hanno subito gli incrementi di prezzo più elevati troviamo i biscotti (+159%), la passata di pomodoro (+148%), il cacao (+143%), il sale (+134%), l’olio d’oliva (+114%), le uova (+103%).

L’abc del 2022, da ‘ammortizzatori’ a ‘contante’ fino a ‘verde’

Nel 2022 gli italiani dovranno familiarizzare con tante novità. E l’abc del nuovo anno inizia con ‘ammortizzatori’, gli strumenti di tutela di chi perde il lavoro che nel 2022 diventano universali, e prosegue con ‘assegno unico’, il nuovo beneficio economico per chi ha figli a carico, poi ‘assorbenti’, per i quali l’Iva si dimezza e scende al 10%, e ‘bollette’, che dopo il rincari del 2021 vedono un nuovo balzo dei prezzi. Il dizionario del 2002 continua con ‘barriere architettoniche’ (il bonus al 75% per abbatterle è una novità di quest’anno), ‘contante’ (dal 1° gennaio il tetto per il suo utilizzo scenderà da duemila a mille euro), e ‘cartelle’: nel 2022 ci saranno sei mesi per pagare le cartelle notificate nel primo trimestre dell’anno. Quanto a ‘delocalizzazioni’, scatta una stretta, e ora servono tre mesi di preavviso e un piano per rendere meno traumatici gli esuberi.

Da ‘espansione’ a ‘giovani’ e da ‘Irap’ a ‘neo mamme’

Le parole chiave del 2022 comprendono anche ‘espansione’, per cui si prevede un’assunzione ogni tre uscite di lavoratori, ‘facciate’ (rimane il bonus per rinnovarle, ma cala dal 90 al 60% della spesa), e ‘giovani’: è stato prorogato lo sconto sulle tasse per l’acquisto di case per gli under 36, ma anche la detrazione al 20% sull’affitto per i giovani under31, e diventa strutturale il bonus cultura per i diciottenni. E se per ‘Irap’ scatta la sua cancellazione per 835mila autonomi, cambiano le aliquote ‘Irpef’, che scendono da cinque a quattro. Ma c’è anche il bonus ‘mobili’, che raddoppia da 5 a 10mila euro, e per le ‘neo mamme’ il 2022 prevede un taglio sperimentale del 50% dei contributi a carico delle lavoratrici madri del settore privato.

‘Plastic tax’, ‘Rdc’, ‘Superbonus’

L’elenco prosegue con ‘papà’(i lavoratori dipendenti che avranno un figlio o lo adotteranno avranno diritto a 10 giorni di congedo obbligatorio e a un giorno di astensione facoltativa), ‘plastic tax’ (rinviata al 2023, con la Sugar Tax), e ‘quota 100 addio’ (i requisiti per lasciare il lavoro salgono a quota 102, ovvero 64 anni di età e 38 di contributi), ‘Rdc’ (cambia, ma poco, mente cambiano i criteri per l’offerta di lavoro o si decade dal beneficio), e ‘Superbonus’ (prorogato per i condomini fino al 2025, ma con un decalage: rimane al 110% fino al 2023, poi al 70% nel 2024 e al 65 nel 2025).

‘Tavolini all’aperto’ , ‘Tv e decoder’, ‘volontariato’ e ‘verde’

Le ultime quattro parole del 2022 sono ‘tavolini all’aperto’ (è stata prorogata fino a fine marzo l’esenzione dalla tassa per l’occupazione del suolo pubblico), ‘volontariato’ (niente Iva fino al 2024 per il terzo settore e il mondo no profit), ‘Tv e decoder’ (è stato rifinanziato il bonus previsto per adeguare gli apparecchi alle nuove tecnologie di trasmissione, e per gli over70 è prevista la consegna a casa del decoder tramite le poste), e ‘verde’. In questo caso, riporta Ansa, si tratta del bonus al 36% per migliorare gli spazi verdi di balconi a giardini.  

Il 2022? Sarà migliore, però…

Inutile negarlo, gli ultimi due anni non sono stati facili, ovviamente a causa della pandemia e di tutte le conseguenze che ha portato. E il 2022 come si prospetta? Secondo i cittadini di 33 Paesi del mondo, sarà decisamente migliore. Lo rivela l’ultimo sondaggio Ipsos, condotto a livello globale, che evidenzia un ottimismo in forte risalita.

Il 77% degli intervistati vede rosa

A livello internazionale, il 77% degli intervistati pensa che il 2022 sarà un anno migliore rispetto a quello precedente. Tuttavia alcune preoccupazioni persistono, come quelle per il cambiamento climatico e l’ambiente oppure per l’aumento dei prezzi di bene e servizi. I cittadini dei 33 Paesi del mondo coinvolti nell’indagine pensano che nell’anno che si apre più dell’80% della popolazione mondiale riceverà almeno una dose di vaccino Covid. I latinoamericani sono molto ottimisti, con cifre che salgono all’81% in Perù, al 76% in Brasile e al 69% in Cile. Gli europei sono più scettici sulla più ampia distribuzione del vaccino, dove le cifre scendono al 51% in Italia, al 42% in Francia, al 38% in Svizzera e al 33% in Germania.

Le preoccupazioni legate al cambiamento climatico

E’ interessante notare che, oltre all’emergenza sanitaria, la popolazione si preoccupa del cambiamento climatico in maniera crescente. A livello internazionale, il 60% degli intervistati ritiene più probabile la manifestazione di eventi meteorologici estremi nel proprio Paese nel 2022 rispetto all’anno appena trascorso. Questa percentuale aumenta nei Paesi Bassi (72%), in Gran Bretagna (69%), in Italia e Australia (entrambi 68%). Al tempo stesso, in media, il 45% degli intervistati si aspettano che le persone ridurranno i viaggi in aereo rispetto al 2019. I cittadini asiatici sono i sono più fiduciosi, con il 68% in Cina, il 67% a Singapore e il 66% in Malesia. In Italia, invece, la percentuale è pari al 46%.

Le prospettive per l’economia

L’aumento dei prezzi getta un po’ d’ombra sull’ottimismo. Il 75% degli intervistati si aspetta che i prezzi di beni e servizi aumentino in misura maggiore e più velocemente rispetto alle proprie entrate. Ciò è ritenuto vero anche dal 76% degli italiani, ma soltanto un terzo dei giapponesi (33%) ritiene probabile tale scenario. In media, a livello internazionale, soltanto il 35% si aspetta di vedere i mercati azionari di tutto il mondo crollare; quota che diminuisce ulteriormente in Italia (29%). In generale, gli intervistati hanno maggiori aspettative per la stabilità del mercato azionario nel 2022 rispetto al 2021, quando il 40% riteneva possibile il crollo dei principali mercati azionari di tutto il mondo.

Gli over 60 italiani sono i più digitali dopo la pandemia

Gli over 60 italiani dopo la pandemia sono diventati più digitali, e rispetto all’inizio dell’emergenza sanitaria utilizzano più agevolmente i dispositivi e le app. I ‘nostri’ ultrasessantenni poi sono in testa a livello mondiale per quanto riguarda la digitalizzazione delle abitudini. E in questa fascia d’età i servizi più popolari sono videochiamate, shopping e streaming di film. Ma come sono cambiate le abitudini digitali degli over 60 nell’ultimo anno e mezzo, e cosa si aspettano gli ultrasessantenni quando la pandemia sarà finita? A queste domande risponde l’indagine internazionale condotta da Readly, il servizio di abbonamento digitale che consente l’accesso illimitato a circa 5000 riviste italiane e internazionali tramite un’unica app, in collaborazione con YouGov.

Quali sono i servizi più utilizzati dagli ultrasessantenni?

Insomma, il 60% degli italiani di oltre 60 anni di età conferma che il proprio stile di vita è diventato più digitale nei mesi di lockdown. Più in particolare, nell’ultimo anno e mezzo i ‘nostri’ ultrasessantenni si sono dedicati maggiormente a videochiamate (34%), allo shopping online (28%), alla visione di film in streaming (21%), e alla lettura di libri, riviste e quotidiani in digitale (19%).

Primi al mondo per digitalizzazione delle abitudini 

In questa fascia d’età, poi, il 63% degli intervistati ritiene che il proprio stile di vita continuerà a essere sempre più digitale anche dopo il Covid. Se paragonate alle risposte degli intervistati in altri Paesi in cui si è svolta l’indagine, gli ultrasessantenni italiani sono di gran lunga coloro che nel corso della pandemia hanno maggiormente ‘digitalizzato’ le proprie abitudini, contro il 48% degli svedesi, il 44% dei britannici, il 40% degli olandesi, il 38% degli australiani, il 39% degli americani, e il 25% dei tedeschi.

Nel post-Covid il 43% si aspetta di poter tornare a viaggiare liberamente

Ma cosa desiderano maggiormente gli Over 60 quando la pandemia sarà finita? Soprattutto uscire e viaggiare. La maggior parte degli italiani con più di 60 anni, il 43%, nel post-Covid si aspetta di poter tornare a viaggiare liberamente. Nelle preferenze seguono le cene con famiglia e amici (20%), la partecipazione a eventi, come concerti e manifestazioni sportive (14%), e poter incontrare parenti più anziani (4%), riporta Ansa.
“La pandemia ha portato con sé curiosità e conoscenza su come il mondo digitale può avvicinarci gli uni agli altri, ottimizzare il nostro benessere e facilitare la quotidianità – ha spiegato Marie Sophie Von BIbra, head of growth di Readly per l’Italia -. È molto bello vedere che anche chi è più avanti con l’età scopre le app di lettura come Readly, sia per l’intrattenimento sia per informarsi”.

Il 50% degli italiani è colpito da malessere psicologico legato al lavoro

Metà degli italiani soffre di malessere psicologico legato al lavoro. Lo rivela una ricerca di BVA Doxa per Mindwork, società italiana di consulenza psicologica online specializzata in ambito aziendale. Quasi l’85% degli intervistati considera infatti il proprio benessere psicologico correlato al benessere sul lavoro, e la quota di chi dichiara di soffrire di frequenti problemi di ansia e insonnia per motivi collegati al lavoro sfiora il 50%.
“L’80% delle intervistate e degli intervistati ha provato almeno un sintomo correlato al burnout – spiega Biancamaria Cavallini, psicologa del lavoro e customer success manager di Mindwork -. Questo purtroppo non sorprende: la durata dell’emergenza sanitaria sta mettendo a dura prova le persone”.

La salute psicologica fatica a essere ‘normalizzata’ in azienda

Il 40% del campione intervistato riferisce di non sentirsi libero di parlare del proprio malessere emotivo nel luogo di lavoro, tanto che in continuità con i dati del 2020, l’ambiente di lavoro si conferma il luogo meno adatto per esprimere il proprio disagio. Anche tra coloro che si sentono tranquilli nel condividere il proprio malessere tra le mura di casa. La salute psicologica, insomma, fatica a essere ‘normalizzata’ in azienda, sebbene sia una necessità urgente. Una persona su tre dichiara infatti di essersi assentata dal lavoro a causa di malessere emotivo dovuto ad ansia e a un carico eccessivo di stress che non riusciva più a sostenere.

I lavoratori più giovani più propensi a lasciare il lavoro per disagio emotivo

Secondo i dati emersi sono i lavoratori più giovani ad avere una maggior propensione a lasciare il lavoro a causa di un malessere emotivo a esso correlato. Il 49% degli under 34, infatti, si è dimesso almeno una volta per preservare la propria salute psicologica, e la tendenza è in aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2020. Non è un caso quindi che il 92% degli intervistati ritenga importante che l’azienda si occupi attivamente del benessere psicologico dei dipendenti. Tuttavia, se il 42% ritiene inefficaci le iniziative aziendali volte a ridurre lo stress legato al lavoro nelle aziende dove è previsto un servizio di supporto psicologico il 60% delle persone lo valuta positivamente. Anzi, considera necessario che il servizio continui anche quando l’emergenza Covid-19 sarà finita.

Il 40% dei lavoratori è preoccupato di rientrare al lavoro a tempo pieno

Quanto al ritorno in azienda, circa il 40% si dice preoccupato del rientro a tempo pieno, al punto che il 20% cambierebbe lavoro se costretto a rientrare. I motivi principali di tale preoccupazione sono la gestione tempo, il vissuto di stress e la gestione familiare. Tanto che il 62% dei lavoratori e delle lavoratrici valuta utile un servizio di supporto psicologico per fronteggiare momenti di stress e disagio legati al rientro in azienda. Quota che, rispetto al 2020, è salita di 8 punti percentuali (dal 54% al 62%). 

Shopping Non Food, con la pandemia cala la propensione ai consumi

La campagna vaccinale contro il coronavirus avanza in tutta Italia, ma le conseguenze della pandemia si fanno ancora sentire. Anche sulla propensione ai consumi non alimentari, e sulla scelta di dove fare acquisti da parte degli italiani. Effetti che proseguiranno nei prossimi mesi del 2021, con probabili strascichi anche nel 2022. Di fatto l’emergenza sanitaria ha cambiato l’approccio ai consumi Non Food delle famiglie italiane: la conferma arriva dall’indagine condotta da Metrica Ricerche per conto dell’Osservatorio Non Food 2021 di GS1 Italy, che ha rilevato il sentiment dei consumatori Non Food in termini di evoluzione dei comportamenti di acquisto, anche digitali, nonché di visita alle differenti location commerciali e ai singoli punti vendita.

Il 44% degli italiani limita gli acquisti ritenuti superflui

Dai dati emersi dall’Osservatorio sembra che la preoccupazione per l’emergenza sanitaria abbia fatto diminuire la spesa non alimentare. Tra gli intervistati, il gruppo più numeroso è infatti quello di coloro che si dichiarano abbastanza preoccupati per la situazione economico-sanitaria (44%), e che per questo, cercheranno di acquistare limitatamente i prodotti non alimentari, posticipando o annullando gli acquisti ritenuti superflui. Il 37% degli intervistati invece non è preoccupato e ritiene che riprenderà ad acquistare prodotti Non Food, e nel 15% dei casi aumenterà lo shopping, in particolare nell’area del “fai da te”. Il restante 19% invece è in stato di allarme, e si dice intenzionato a ridurre gli acquisti, preferendo canali e punti vendita con più promozioni. In un caso su tre, poi, rinuncerà del tutto, rinviando le spese al 2022.

Si torna a comprare negli store fisici? Dipende dai prodotti 

A essere influenzate dall’emergenza sanitaria sono poi anche le scelte relative ai canali di acquisto. Le preoccupazioni economiche continuano a incidere su dove e cosa comprare in ambito non alimentare, anche se in misura minore rispetto ai mesi scorsi. Se un anno fa circa il 50% dei consumatori aveva cambiato i canali e i punti vendita dove fare la spesa, ora la percentuale di chi intende farlo è scesa al 30-40%, con punte più alte negli elettrodomestici e nei prodotti di telefonia/informatica, e valori più bassi nell’ottica. La ricerca di store fisici più sicuri per la salute varia dal 18% al 28%, a seconda dei settori, ed è sopra la media nei grandi elettrodomestici, nel bricolage e negli articoli per la casa.

Il Non Food alla conquista del web

Un altro aspetto che continuerà a essere influenzato dalla situazione contingente è la frequentazione dei centri commerciali. Il 40% dei visitatori abituali dichiara infatti un possibile calo della frequenza, e oltre un terzo è intenzionato a ridurla in modo deciso. Un altro 54% invece afferma di non voler cambiare le proprie abitudini, e un ulteriore 6% afferma di volerli visitare più spesso. Ma a segnare il post pandemia è sicuramente l’accelerazione per gli acquisti online dei prodotti Non Food, e il trend è confermato anche per la seconda parte del 2021. Il 40-50% del campione afferma infatti che aumenterà i propri acquisti su internet per quasi tutte le categorie di prodotti Non Food. Una tendenza ancora più forte nei settori ormai appannaggio dell’e-commerce, come libri, giocattoli, tecnologia e attrezzature sportive.

Università, in Italia crescono le studentesse. Dal Censis i migliori atenei

Più immatricolazioni e soprattutto più ragazze. È questo, in estrema sintesi, l’aspetto sociologico che emerge dalle classifiche delle università italiane elaborate dal Censis e diventate ormai un appuntamento annuale a supporto dell’orientamento di migliaia di studenti. In base a quanto evidenziato dall’istituto di ricerca, nell’anno accademico 2020-21 si è registrato un aumento del 4,4%  degli iscritti, confermando così una tendenza in crescita che si ripete da 7 anni. Calcolato sulla popolazione diciannovenne, il tasso di immatricolazione ha raggiunto quota 56,8%. Buone notizie anche per quanto riguarda le “quote rosa”. Nel 2020, a fronte di un tasso di immatricolazione maschile pari a 48,5%, quello femminile è stato del 65,7%. Per le ragazze si è registrato un incremento annuo del 5,3% rispetto al +3,3% dei ragazzi immatricolati. Le facoltà dell’area disciplinare Artistica-Letteraria-Insegnamento sono ancora le preferite dalle studentesse, con il 77,7% delle immatricolazioni, mentre l’area Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ne “conquista” solo il 39,4%, anche se con una crescita costante da un anno all’altro.

I criteri della ricerca

Le classifiche delle università italiane elaborate dal Censis sono basate sulla valutazione degli atenei (statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensioni) in relazione a strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio e altri interventi in favore degli studenti, livello di internazionalizzazione, comunicazione e servizi digitali, occupabilità. A questa classifica si aggiunge il ranking dei raggruppamenti di classi di laurea triennali, dei corsi a ciclo unico e delle lauree magistrali biennali secondo la progressione di carriera degli studenti e i rapporti internazionali.

Bologna, Perugia, Trento e Camerino le università numero uno

Tra i mega atenei statali (quelli con oltre 40.000 iscritti) nelle prime due posizioni si mantengono stabili, rispettivamente, l’Università di Bologna (punteggio complessivo di 91,8) seguita dall’Università di Padova (88,7). Scendendo nella classifica troviamo La Sapienza di Roma (85,5), e l’Università di Firenze (85,0). Tra i “grandi” (atenei da 20.000 a 40.000 iscritti) la medagia d’oro anche quest’anno va a Perugia (93,3), seguita da Salerno, che sale di 6 posizioni (91,8), e quindi dall’Università di Pavia (91,2). Per quanto riguarda i medi (da 10.000 a 20.000 iscritti) anche quest’anno l’Università di Trento è pima nella classifica dei medi atenei statali (97,3), mentre il secondo e il terzo posto sul podio spettano rispettivamente a Siena (94,0) e Sassari (92,8). Nella classifica dei piccoli atenei statali (fino a 10.000 iscritti) resta salda in prima posizione l’Università di Camerino (98,2), seguita dall’Università di Macerata (86,5). Scalano la classifica due atenei laziali, l’Università di Cassino (84,7) e l’Università della Tuscia (84,3).

Università private e Politecnici, Milano è regina

Tra i grandi atenei non statali (oltre 10.000 iscritti) è in prima posizione anche quest’anno l’Università Bocconi (96,2), seguita dall’Università Cattolica (80,2). Il capoluogo lombardo è al top anche per quanto riguarda i Politecnici: al numero uno c’è il Politecnico di Milano (93,3 punti), seguito dallo Iuav di Venezia (90,3) e dal Politecnico di Torino (90,2).

Ambiente e sostenibilità, cresce il segmento degli Eco Active

In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente del 5 giugno GfK ha condiviso i risultati della ricerca internazionale #WhoCaresWhoDoes sulla sostenibilità e le preoccupazioni ambientali. La salvaguardia del pianeta è un tema sempre più centrale e nessun brand può permettersi di ignorare questa tendenza: secondo i dati GfK nel 2020 è cresciuto il segmento dei consumatori Eco Active, che a livello europeo arriva a pesare il 24% e in Italia il 23%. E se è vero che entro il 2025 i consumatori Eco Active a livello mondiale arriveranno a pesare il 40% del totale, le aziende dovranno prepararsi con investimenti e iniziative di comunicazione mirate per attirare questo segmento.

Spetta a produttori e governi “fare la differenza”

Se la sostenibilità è un tema centrale, il gap da colmare tra intenzioni e azioni dei consumatori però è ancora ampio, e il 72% degli shopper tende ad attribuire una responsabilità maggiore agli altri rispetto che a sé stessi per quanto riguarda le tematiche ambientali. In particolare, secondo gli italiani sono soprattutto i produttori di beni e servizi (37%) e i governi (28%) a dover fare la differenza nella riduzione dell’impatto ambientale. Percentuali simili si ritrovano anche considerando il target degli Eco Active italiani, per il quale solo il 26% pensa che la responsabilità sia principalmente dei consumatori. Inoltre, emerge ancora una certa dose di incertezza quando si tratta di riconoscere il livello di attenzione all’ambiente delle aziende.

Quali sono le imprese amiche dell’ambiente?

A livello internazionale solo il 22% dei consumatori è in grado di citare un brand sostenibile in maniera spontanea. Una percentuale che sale al 31% tra i consumatori Eco Active. Nel 42% dei casi si tratta di brand nati con una chiara identità green, mentre potrebbe sorprendere trovare al secondo posto le Multinazionali (36%), che quindi non sono necessariamente viste in modo negativo quando si parta di ambiente. Solo nel 22% dei casi però viene citato un piccolo brand locale: questa sicuramente è una area dove esistono ancora ampi i margini di crescita. Risultati simili emergono anche quando si chiede alle persone di citare il nome di un retailer sostenibile: il Italia solo il 20% dei consumatori è in grado di indicarne almeno uno.

Le opportunità per le aziende del Largo Consumo

Per produttori e retailer, conoscere le tematiche che stanno più a cuore ai consumatori è fondamentale. Soprattutto per indirizzare i propri investimenti ambientali e di sostenibilità sugli ambiti che non solo apportano benefici al pianeta, ma sono in grado di conquistare l’approvazione, la fedeltà e la preferenza dei consumatori. In particolare, per il settore del Largo Consumo il segmento degli Eco-Active risulta particolarmente interessante. Secondo i dati GfK, questi consumatori spendono più della media per prodotti FMCG, e nel periodo compreso tra marzo e dicembre 2020 hanno incrementato la propria spesa di Largo Consumo del +12% rispetto allo stesso periodo del 2019.