Arriva il bonus psicologo dopo l’emergenza pandemia: di cosa si tratta? 

Per molti italiani gli effetti della pandemia sono stati pesanti, a tutti i livelli della vita personale e professionale. E, per diverse persone, l’aiuto di uno psicologo potrebbe essere fondamentale per superare le difficoltà del momento. Nasce proprio in quest’ottica il bonus psicologo, la facilitazione appena approvata dal Governo e che von la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 28 giugno è diventata legge dello Stato. Ma di cosa si tratta nella pratica? Come spiega lo su Studio Cataldi, il bonus per l’assistenza psicologica è un contributo pari a 600 euro per ogni cittadino che abbia un reddito inferiore ai 50mila euro annui e abbia la necessità di pagarsi le sedute di psicoterapia. Per i cittadini non ci saranno dunque oneri aggiuntivi o anticipi da pagare. Il bonus si pone l’obiettivo di potenziare l’assistenza per il benessere psicologico individuale e collettivo, anche mediante l’accesso ai servizi di psicologia e psicoterapia in assenza di una diagnosi di disturbi mentali, e per fronteggiare situazioni di disagio psicologico, depressione, ansia, trauma da stress. Particolare riguardo per bambini e adolescenti, soprattutto se appartengono a famiglie in difficoltà economiche.

Il portale per le prenotazioni a cura di Inps

Come ha dichiarato il ministro della Salute Roberto Speranza “sarà l’Inps a offrire il portale per le prenotazioni e sarà anche il soggetto pagante rispetto ai professionisti che si renderanno disponibili e che l’Ordine nazionale degli psicologi sta coinvolgendo in tutta Italia”. E poi: “Chi ha bisogno di aiuto potrà scegliere liberamente il professionista tra coloro che devono aver aderito all’iniziativa. Il meccanismo immaginato consentirà di accedere al contributo senza oneri o anticipazioni da parte di chi vuole usufruire del bonus”.

A chi è destinato e come ottenerlo

Questo bonus è un sostegno per avvalersi di consulenze di professionisti in materia di salute mentale, pensato come supporto per curare gli effetti della pandemia sulla psiche. Come si legge su Agenda Digitale, il bonus psicologo sarà assegnato entro tre fasce di reddito Isee che non dovranno superare i 50mila euro. Bisognerà poi spendere il contributo entro 180 giorni dal momento in cui lo si riceve. Chi è interessato alla facilitazione potrà presentare la domanda tramite il portale Inps, la procedura sarà disponibile per minimo sessanta giorni, accreditandosi con Spid, Coe o Cns; in alternativa, si può fare domanda tramite contact center Inps. In fase di presentazione della domanda si valuterà anche se la DSU presentata è valida oppure no, comunicandolo all’utente. L’Inps una volta ottenute le domande e concluso il termine per avanzare le richieste, stilerà una graduatoria su base regionale, a seconda della residenza dei richiedenti. Le domande saranno accolte fino a esaurimento fondi, dando priorità a chi ha reddito più basso.

Rincari: scatta l’allarme per hotel e ristoranti

È allarme rincari per hotel e ristoranti, ma anche per B&B, motel, pensioni, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù. Lo segnala l’Unione nazionale consumatori, che ha condotto per l’Adnkronos uno studio elaborando gli ultimi dati Istat relativi al mese di maggio, e stilando una classifica delle città con i maggiori rincari. Per le prossime vacanze estive si profila infatti una stangata nel settore della ricettività. Nonostante maggio non sia tradizionalmente un mese di ferie, e non ci siano stati ‘ponti’, i prezzi dei servizi di alloggio sono già saliti in media del 12,5% rispetto a maggio 2021. In particolare, per alberghi e motel +14,7%, pensioni +10,7%, e villaggi vacanze, campeggi e ostelli +0,4%.

A Torino i rialzi maggiori per gli alberghi

Ma le differenze sul territorio sono enormi, con oltre 58 punti percentuali di differenza tra la città più cara e la meno cara. Sintomo anche di una differente ripresa della domanda turistica, ancora a macchia di leopardo, con alcune città addirittura in deflazione. A guidare la classifica della città con i maggiori rialzi nel settore alberghiero è Torino, con un balzo del 40,5% rispetto allo scorso anno, al secondo posto Palermo, con un incremento annuo del 36,5%, e al terzo Siena, con +30,7%. Appena giù dal podio, Bologna (+28,9%), seguita da Teramo (+23,5%), Milano (21,6%), poi Trieste (+20,7%), Como (+20,2%) e Roma (+19,6%). Chiude la Top Ten Viterbo, con un aumento del +19,3%.

Ma a Venezia i prezzi crollano del -17,5%

Sull’altro versante, il dato clamoroso di Venezia, in deflazione con un crollo dei prezzi su base annua del 17,5%. La seconda città più ‘virtuosa’ è Caltanissetta (-4,9%), mentre sul gradino più basso del podio si posiziona Trapani (-1,2%). Ma in deflazione è anche Livorno (-0,4%).
L’Unione nazionale consumatori ha condotto un’analisi dei rincari anche su base mensile, da cui risulta che Torino rimane in cima alla Top Ten anche rispetto ad aprile (+33,2%), mentre al secondo posto si piazza Siena (+28,1%) e al terzo Palermo (+18,8%). A seguire Bologna, che mantiene il quarto posto (+14,9%), seguita da Siracusa (+13,3%), Lucca (+13,2%), Parma (+11,6%), Rimini (+11,4%), Campobasso (11,2%) e Como (+10,8%).

Ristoranti: Verona +8,7% in un mese

Non va molto meglio per i ristoranti: per i Servizi di ristorazione (ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, gelaterie, prodotti di gastronomia e rosticceria), l’Istat rileva divari tra le città meno clamorosi rispetto agli alberghi ma sempre consistenti. A fronte di un’inflazione annua al 4,5%, lo scarto tra la città più economica e la più svantaggiosa è pari al 7,5%. A vincere questa classifica è Verona, dove i ristoranti rincarano rispetto a maggio 2021 dell’8,7%, al secondo posto Gorizia (+8,3%), e al terzo Palermo (+7,9%). Seguono Brescia (+7,8%), Forlì-Cesena e Sassari (+7,3% entrambe), Lecco (+7,1%), Olbia (7%), Trento (6,7%), e Piacenza (+6,6%). La città dove mangiare fuori costa meno invece è Campobasso (1,2%), seguita da Massa-Carrara (+1,6%), e Lodi (+1,7%).

Cybersecurity: allarme nuova vulnerabilità Follina di MS Office

È stata scoperta una nuova vulnerabilità zero-day in Microsoft Office: si tratta di Follina, e consente ai criminali informatici di eseguire codice dannoso da remoto sui sistemi delle vittime sfruttando una falla nel Microsoft Diagnostics Tool.
L’attacco avviene attraverso documenti di testo compromessi. In pratica, l’attaccante si infiltra nella rete della vittima distribuendo un documento Microsoft Word (.docx) o Rich Text Format (.rtf) appositamente progettato che contiene un link a un allegato HTML esterno dannoso. Per Follina non è stata ancora rilasciata una patch, pertanto i ricercatori di Kaspersky hanno previsto un numero crescente di attacchi che utilizzano questa vulnerabilità.

Sfrutta lo strumento di risoluzione dei problemi di Windows

Quando viene aperto, il documento preparato dall’aggressore lancia MSDT, uno strumento di risoluzione dei problemi di Windows che raccoglie informazioni e le segnala all’assistenza Microsoft. La riga di comando fornita a MSDT tramite l’URL distribuito provoca l’esecuzione di codice non attendibile. Questo consente all’attaccante di distribuire e installare programmi dannosi sul computer della vittima (compresi i controller di dominio vulnerabili), nonché di rubare i dati memorizzati e creare nuovi account con pieni diritti utente. Nel complesso, l’attaccante può passare qualsiasi comando da eseguire sul sistema della vittima con i privilegi dell’utente che ha aperto il documento di testo.

Stati Uniti, Vietnam e Pakistan i più colpiti

Purtroppo il comando può essere trasmesso al sistema bersaglio anche nel caso in cui la vittima abbia aperto il documento in modalità protetta, o addirittura nel caso in cui non lo abbia aperto affatto. Complessivamente, dall’inizio di maggio 2022 al 3 giugno, i prodotti Kaspersky hanno rilevato oltre 1.000 tentativi di sfruttamento della vulnerabilità appena scoperta. Circa il 40% di questi tentativi sono stati registrati negli Stati Uniti, seguiti da Vietnam (8,3%) e Pakistan (8,2%). La situazione è diversa se si considerano i Paesi classificati in base agli utenti unici più colpiti. In questo caso, il Pakistan è in testa, con quasi il 45% degli utenti colpiti, seguito da Russia (6,5%) e Stati Uniti (4,32%).

“Prevediamo che il numero di tali attacchi crescerà”

“Una volta segnalata una vulnerabilità precedentemente sconosciuta, i criminali informatici intensificano la loro attività per trarre il massimo vantaggio dalla situazione – commenta Alexander Al. Kolesnikov, esperto di sicurezza di Kaspersky -. La vulnerabilità Follina ne è un esempio. Abbiamo osservato numerosi tentativi di sfruttare la vulnerabilità nei prodotti MS Office sulle reti aziendali e prevediamo che il numero di tali attacchi crescerà. La vulnerabilità potrebbe essere sfruttata per vari motivi, dalla fuga di dati agli attacchi ransomware. Stiamo monitorando attentamente il panorama delle vulnerabilità per migliorare il rilevamento generico di Follina. Pertanto, raccomandiamo vivamente agli utenti di affidarsi alle più recenti informazioni sulle minacce e di installare soluzioni di sicurezza che individuino in modo proattivo sia le minacce note sia quelle sconosciute”. 

Il posto di lavoro del futuro: Millennial e Generazione Z chiedono benefit per viaggiare, flessibilità e inclusività

La flessibilità, l’opportunità di viaggiare, la possibilità di contribuire alla realizzazione di progetti mirati e la diversity sono fattori fondamentali per il lavoro ideale. Ecco quali sono le priorità di un ambiente di lavoro “perfetto” post pandemia, espresse da Millennials (26-41 anni) e Gen Z (18-25 anni): lo rivela un recente sondaggio condotto da Hilton, il colosso alberghiero. Dai risultati emerge l’importanza di incontrare nuove persone, di fare esperienza in diversi ruoli e di trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata; inoltre, le aziende con forti politiche in materia di questioni sociali e ambientali sono risultate interessanti per l’80% delle persone di età compresa tra i 18 e i 41 anni.

Obiettivo: ambiente professionale inclusivo

L’indagine ha anche rivelato che un luogo di lavoro inclusivo è essenziale per l’84% dei Millennial e della Gen Z. Gli intervistati ritengono che il legame umano abbia sempre più valore in un mondo post-pandemia, con l’88% che apprezza l’interazione sociale sul posto di lavoro. Inoltre, l’87% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 41 anni considera le politiche di salute e benessere mentale come un aspetto importante, e il 18% ha anche rivelato di aver pensato di cambiare lavoro nell’ultimo anno a causa delle preoccupazioni per la propria salute e per il proprio benessere mentale.  

Sì al rapporto interpersonale

Inoltre, negli ultimi 12 mesi il 49% dei Millennials e della Gen Z ha preso in considerazione la possibilità di una carriera nel settore dell’ospitalità; inoltre sono prese in considerazione, in ordine di importanza, la possibilità di apprendere nuove competenze (29%), le ampie opportunità di sviluppo personale e di carriera (28%), la varietà del lavoro (28%), l’opportunità di viaggiare (24%) e la flessibilità di dedicare tempo ad altre priorità della vita, come la crescita di una famiglia (23%). La ricerca ha individuato un divario generazionale in merito a ciò che le persone apprezzano quando si tratta di carriera, con la generazione Z che, in una percentuale quasi doppia (22%) rispetto ai millennial (13%), considera rilevanti nella scelta di un lavoro le opportunità di viaggio internazionali. I risultati hanno anche evidenziato che i lavori tradizionali, come il costruttore (5%) o il pilota (8%) sono in calo, rispetto a lavori come il creativo dei social media (17%) o il marketing specialist (18%).

La Sharing Mobility cresce: merito dei monopattini in condivisione 

Secondo i dati dell’Osservatorio Sharing Mobility, nel periodo 2015-2019 il settore della Sharing Mobility è cresciuto costantemente. E il crollo avvenuto nel 2020, dovuto alla pandemia, è stato attutito soprattutto dall’implemento del monopattino. Negli ultimi due anni infatti la micromobilità, in particolare proprio quella dei monopattini in condivisione, ha compiuto un vero e proprio balzo in avanti. Prendendo come riferimento 6 città campione (Milano, Torino, Roma, Bologna, Cagliari, Palermo), nel 2021 l’Osservatorio ha registrato un aumento esponenziale del noleggio del monopattino. Una tendenza, quella di “muoversi con leggerezza”, che non riguarda solo l’Italia, ma è simile a quanto accade in Europa.

Un mezzo che risponde a esigenze specifiche di mobilità

Di sicuro, il monopattino è un mezzo che si adatta molto bene alle esigenze di mobilita delle amministrazioni comunali, ed è uno strumento che risponde a esigenze specifiche di mobilità.
L’esperienza del Comune di Milano mostra che per le amministrazioni comunali è positivo e sensato avvalersi di aziende private specializzate nella mobilità condivisa. È altresì importante che vengano dotate di strutture in grado di monitorare, controllare e dare il giusto feedback agli operatori di settore. Questo mix di delega e controllo permette di sfruttare al massimo le potenzialità della mobilità condivisa, e diminuirne le problematiche.

L’evoluzione dei servizi di micromobilità

La tendenza all’utilizzo di veicoli leggeri sta riducendo il peso medio delle flotte dei veicoli condivisi, e si sta per raggiungere la proporzione di 1 a 1 tra peso del veicolo e del trasportato. Inoltre, i fornitori di servizi di monopattini in condivisione si stanno sempre più evolvendo in fornitori di servizi di micromobilità, spesso offrendo due o tre servizi: monopattino, bici elettrica, scooter elettrici.
Le tre offerte di micromobilità riescono a trovare un equilibrio tra esigenze di business dell’operatore e qualità del servizio: una soluzione che inizia ad allargarsi anche ai piccoli centri. Negli ultimi mesi cresce, infatti, l’offerta di micromobilità in piccole città a vocazione tendenzialmente turistica. Insomma, la Sharing Mobility non è più relegata ai grossi centri urbani.

Le norme sulla circolazione

Anche a livello normativo i monopattini hanno trovato una loro configurazione, e se nel 2018 si parlava di una fase sperimentale oggi la situazione è più delineata. E per quanto riguarda le norme sulla circolazione non si tratta di rafforzare le regole, ma di rafforzare i controlli. Un problema è quello della sosta selvaggia, problema di non facile soluzione, in quanto la maggior parte dei centri italiani ha una morfologia dove sono pochi gli spazi a disposizione, sempre più contesi da altri soggetti, come ad esempio le colonnine di ricarica auto. La proposta dell’Osservatorio è di individuare punti lungo le strade urbane che diventino gli spazi di riferimento dove parcheggiare i mezzi. Ad esempio, negli spazi a ridosso degli incroci.

Cosa fare quando la caldaia perde acqua

Quando la caldaia perde acqua, andiamo tipicamente nel panico perché non sappiamo effettivamente quale possa essere la causa ed il come poter rimediare.

Partiamo allora dal principio che non sempre una perdita d’acqua della caldaia sia sinonimo di guasto importante, e manteniamo la calma così da poter analizzare le possibili cause.

Diciamo innanzitutto che se la caldaia perde qualche goccia d’acqua di tanto in tanto, ciò può essere normale soprattutto se il dispositivo ha ormai più di qualche anno.

Vediamo comunque come procedere quando si riscontra la perdita d’acqua in una caldaia, così da riuscire a risolvere.

Chiaramente fai bene a richiedere l’intervento di un tecnico se non sei a tuo agio con le piccole riparazioni domestiche o se pensi possa trattarsi di una operazione particolare.

Osservazione iniziale

La prima cosa da fare è avvicinarsi alla caldaia e cercare di individuare esattamente da dove provenga l’acqua. In base al tipo di componente dal quale parte il gocciolamento infatti, sarà possibile trovare una soluzione adeguata.

Rimani dunque in fase di osservazione qualche minuto con l’intento di riuscire ad individuare esattamente quale componente stia perdendo acqua e con quale intensità.

Concentra la tua attenzione soprattutto su tubi e raccordi, i quali possono anche bucarsi e dare vita a gocciolamento.

Perché la caldaia perde acqua?

Se non si tratta di un buco ad un tubo o raccordo, il motivo per il quale la caldaia perde acqua potrebbe risiedere nella pressione elevata.

Quando la caldaia rileva di avere una pressione elevata infatti, essa aziona la valvola di sicurezza la quale fa gocciolare via dell’acqua, eliminandola dal circuito, così da diminuire la pressione che puoi leggere nell’apposito indicatore.

Delle volte è anche l’aria presente all’interno dei radiatori stessi a causare una perdita nei pressi della valvola di sfogo.

Come rimediare ad una perdita d’acqua nella caldaia?

Nel caso in cui la fuoriuscita d’acqua sia abbondante, è necessario ridurre la pressione. È possibile farlo azionando l’apposita valvola di sfogo presente su ciascun termosifone e facendo fuoriuscire dell’acqua.

È sufficiente fare questo tipo di riparazione su un solo termosifone per vedere la pressione della caldaia rientrare in valori normali. ovvero quelli compresi tra 1,2 e 1,5 bar.

A questo punto è possibile verificare se effettivamente l’interruzione del gocciolamento dell’acqua sia avvenuta, per scoprirlo ti basterà osservare ancora la caldaia per qualche minuto.

Nel caso in cui il gocciolamento persista, è possibile che il problema sia nello scambiatore o nella la valvola; in questo caso è necessario rivolgersi ad un tecnico.

Considera però che se la caldaia è alquanto vecchia l’intervento di riparazione, considerando la manodopera ed i pezzi di ricambio,  potrebbe non essere più conveniente dal punto di vista economico e per questo motivo faresti bene a considerare l’idea di effettuare direttamente la sostituzione caldaia.

Nel caso in cui tu invece dovessi identificare la perdita in un tubo o raccordo che perde, puoi tentare di sostituire autonomamente il pezzo rotto.

Ricorda intanto di chiudere il rubinetto dell’acqua della caldaia, così da poter poi smontare il tubo rotto e portarlo in negozio così da poterne acquistare un altro dello stesso tipo.

Il più delle volte a rompersi sono i tubi flessibili che hanno un costo alquanto basso, in genere entro le 10€. Sostituito dunque il tubo o il flessibile rotto, puoi montare quello nuovo e aprire nuovamente l’acqua, così da avviare la caldaia e vedere se è tutto a posto.

Considera comunque che è molto importante fare della manutenzione periodica alla caldaia, anche per evitare che possano presentarsi malfunzionamenti come quello che abbiamo appena descritto.

Smart City: un concetto conosciuto dal 50% degli italiani

Il concetto di Smart City è conosciuto da circa metà degli italiani, soprattutto dai giovani. Lo rivela Intel, l’azienda americana che produce dispositivi e semiconduttori, che ha effettuato una ricerca sugli italiani e la Smart City, realizzata con la collaborazione di Pepe Research. Quando si parla di Smart City l’idea è associata a innovazione tecnologica e sostenibilità ambientale. Le caratteristiche fondamentali per una città tech, sono infatti sostenibilità ambientale, sicurezza, efficienza energetica e mobilità intelligente. Tuttavia, dallo studio emerge che le priorità tra le diverse fasce di età che conoscono questo termine divergono. Se i giovani più maturi danno maggiore importanza alla sicurezza, la generazione Z dimostra maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale.

Ma solo il 13% ritiene di vivere in una città abbastanza smart

La mobilità intelligente è più importante, invece, per coloro che vivono in una grande città in cui i problemi di traffico impattano sulla vita quotidiana. Le città italiane dovranno affrontare ancora molti passi per raggiungere il percorso smart al 100%: solamente il 13% dei cittadini ritiene di vivere in una città abbastanza smart. Gli italiani però sono orientati a un futuro Smart City, infatti il 68% crede che la propria città sarà più smart tra 10 anni. Milano è in cima alla classifica delle città più smart d’Italia, con una valutazione 6,2/10, seguita da Bologna e Padova, con 6/10. Seguono Napoli, Genova e Catania, mentre Roma raccoglie una valutazione di 4,3/10. 

C’è ancora molto da fare per l’ambiente e la cittadinanza attiva

“Gli italiani sono legati al loro territorio, tuttavia l’idea della Smart City è effettivamente attraente, con un 60% di cittadini che si dichiara disposto a trasferirsi in una Smart City se si trovasse nella sua regione – ha dichiarato Elena Salvi, Partner di Pepe Research -. Attualmente gli italiani riconoscono un livello di ‘smartness’ alle loro città quando si tratta di economia locale, servizi e mobilità, ma sono convinti che sia necessario ancora parecchio lavoro per quanto riguarda l’ambiente e la cittadinanza attiva. Ora – ha spiegato Salvi – è il momento giusto per portare avanti piani di intervento intelligente sull’ambiente, un elemento fondamentale nel rendere più attrattive le nostre Smart City”.

Lavorare in una Smart City? Sì, se è vicina alla residenza 

La maggioranza dei lavoratori italiani poi, riporta Italpress, sarebbe disposta a trasferire la propria attività lavorativa in una Smart City. Questo, se fosse a mezz’ora di distanza dalla propria residenza (87%), mentre il 57% ha indicato un’ora di distanza, e il 29% sarebbe disponibile a una trasferta di due ore per accedere a uno stile di vita più smart. Ma c’è anche chi è disposto a investire per far diventare la propria città una Smart City. Un concetto che si avvicina all’idea di Smar City è lo smart working. L’idea di smart working ha rivoluzionato le idee degli italiani sia in modo positivo sia negativo. Il 79% infatti apprezza lo smart working e vorrebbe continuare a lavorare in questa modalità, ma ritiene che vadano migliorati alcuni aspetti del lavoro in modalità remota, .

Il ruolo della donna in Italia e gli stereotipi: una ricerca fa il punto

Ipsos ha recentemente presentato i risultati italiani dello studio Being Woman: un progetto di ricerca nato con l’obiettivo di aiutare l’audience a comprendere la donna attraverso una chiave di lettura diversa, ovvero quella di tipo culturale. In particolare, l’analisi vuole mettere in luce quelli che sono i diversi aspetti dell’empowerment femminile nelle varie culture del mondo, a partire dall’Italia. Il progetto di ricerca, a cui hanno già aderito diversi Paesi, tra cui Cina, US, Francia e Italia (altri se ne aggiungeranno), ha l’obiettivo di descrivere le sfumature culturali e le differenze nella condizione femminile, nella rappresentazione, nelle ambizioni e per rispondere a due domande: cosa vogliono le donne? E cosa possono fare le aziende per ingaggiarle e rappresentarle in maniera vera e meno stereotipata? 

Le condizioni per cui può esistere un vero empowerment femminile

Il vero empowerment femminile si crea solo quando le tensioni sono risolte ed esiste un allineamento tra diversi fattori, avvisa lo studio. In particolare, sono tre le direttrici per cui una vera eguaglianza possa esistere, al di là degli stereotipi. Sono le risorse sociali, ovvero la possibilità di avere uguale accesso ai giusti asset di potere, quali ad esempio istruzione, indipendenza finanziaria, processo decisionale, lavori, compiti; i sentimenti, cioè la sicurezza in se stesse e la possibilità di ridurre il divario tra ciò che desidera e ciò che effettivamente si fa, senza cadere nella  trappola dell’iper-performance, lo stereotipo ancora presente in Italia che vuole le donne super impegnate a fare “bella figura” in tutti i campi condannandole alla frustrazione; infine, i comportamenti, intesi come la libertà e la capacità di diventare chi si vuole, anche contro le norme sociali, in molti casi sfruttando le tensioni per trovare un percorso di empowerment. 

La pubblicità e la realtà oltre i cliché

Il 78% degli intervistati nella ricerca ritiene che la pubblicità ha il potere di influenzare come le persone si vedono e si percepiscono. La comunicazione è stata parte del problema nella definizione di stereotipi femminili in passato, ma ha l’opportunità di essere parte della soluzione in futuro. In che modo? Rappresentando la vita vera, al di là degli stereotipi. L’83% vorrebbe vedere pubblicità che rappresentino persone più reali, diverse dai soliti cliché e canoni di bellezza. Il 70% vorrebbe vedere pubblicità con famiglie anche diverse dal solito, più attuali. Il 79% vorrebbe vedere pubblicità in cui le donne sono rappresentate in maniera diversa, meno stereotipata. Le modalità di empowerment sono culturalmente situate, ciò che viene considerato emancipatorio in un Paese, potrebbe non esserlo in un altro e, per questo, localizzare la rappresentazione è necessario. Una rappresentazione positiva della donna guida la performance delle creatività e, in ultimo, il business.

Aprire la Partita Iva nel 2022: quanto costa?

Quanto costa oggi aprire una partita IVA? E quanto conviene aderire al regime forfettario? Aprire la partita IVA nel 2022 può rivelarsi un’ottima idea, perché oggi è possibile approfittare di alcune agevolazioni decisamente interessanti, che consentono di risparmiare parecchio in termini di tassazione, e non solo. Sicuramente, a coloro che intendono aprire una propria attività da autonomi, conviene aderire al regime forfettario, che prevede un’aliquota molto più bassa rispetto a quella del regime ordinario, e costi generali nettamente inferiori. L’unico vincolo riguarda il fatturato annuo incassato, che non deve superare i 65.000 euro.

Il regime forfettario e la consulenza fiscale

Per attivare una partita IVA in regime forfettario i costi sono variabili a seconda dell’inquadramento fiscale e del servizio di consulenza al quale ci si appoggia. Mentre i professionisti possono portare a termine l’operazione totalmente a costo zero, per artigiani e commercianti bisogna preventivare circa 100 euro di spese vive, alle quali si aggiunge l’onorario del consulente che si occuperà delle incombenze burocratiche. Altri costi che bisogna considerare nel momento dell’apertura della partita IVA sono infatti quelli relativi al commercialista. Si tratta quindi di predisposizione del Modello Redditi, e degli F24 per il versamento delle imposte e dei contributi. Gli importi possono variare a seconda del professionista al quale ci si rivolge, ma esistono servizi online come Fiscozen, che propone un abbonamento comprensivo di tutti gli aspetti legati alla gestione della Partita IVA, dalle tariffe decisamente vantaggiose. Si spendono solamente 299 euro oltre all’IVA all’anno, e il pacchetto comprende tutti i servizi che solitamente sono in capo al commercialista.

Aliquote più basse rispetto al regime ordinario

Un’altra voce di spesa che tutti coloro che aprono partita IVA devono considerare è quella relativa alle tasse e ai contributi previdenziali. In questo caso si tratta di costi variabili, che vengono calcolati sulla base del reddito effettivo. Aprendo partita Iva in regime forfettario, però, si ottengono vantaggi non indifferenti da questo punto di vista. L’aliquota applicata per i primi 5 anni è del 5%, mentre a partire dal sesto anno è del 15%. Nettamente inferiore rispetto a quella che devono corrispondere i contribuenti che operano in regime ordinario. 

A quanto ammontano i contributi previdenziali?

Bisogna poi considerare i contributi previdenziali, riporta Adnkronos, il cui ammontare dipende dalla Cassa di riferimento. Si va dal 25,72% del reddito lordo per i professionisti iscritti alla Gestione Separata INPS, a un contributo fisso di circa 3.850 euro, dovuto a prescindere dal reddito, per le ditte individuali. È importante ricordare che durante la propria attività i titolari di partita IVA potrebbero avere costi extra da sostenere, come quelli relativi all’emissione di fatture elettroniche (che presto dovrebbero diventare obbligatorie anche per i forfettari). Inoltre, chi acquista o presta servizio verso committenti europei è tenuto a presentare il Modello Intrastat. Alcuni servizi come Fiscozen prevedono un abbonamento comprensivo anche di questi costi, ma ci sono commercialisti che fanno pagare queste pratiche extra.

Uovo di cioccolato batte colomba. Taranto la provincia più “golosa”

A Pasqua gli italiani hanno comprato i dolci tipici della tradizione per festeggiare con golosità le feste. Ma nella ‘sfida’ tra uova di cioccolato e colomba quale è il dolce più amato dai consumatori del Bel Paese?  Secondo Everli, il marketplace della spesa online, lo scorso anno si è registrato un aumento di spesa a doppia cifra per l’acquisto di uova di cioccolato (66%) e di colombe (29%), decretando come vincitore indiscusso l’uovo.
Nonostante nel Bel Paese si acquistino un maggior numero di colombe pasquali (+4,6% rispetto alle uova), si spende di più in uova di Pasqua (+86%). E Taranto è al primo posto nello per la spesa in uova di cioccolato e al secondo per le colombe pasquali.

L’uovo preferito? Di cioccolato al latte

Puglia e Toscana sono le regioni in cui si spende di più per l’acquisto di uova di cioccolato, ognuna con due province nella top 10 delle località che hanno speso maggiormente online per questa categoria, Taranto (1°) e Bari (2°), Lucca (6°) e Grosseto (7°).
Ma che tipologia di cioccolato preferiscono gli italiani? Non ci sono dubbi: 9 delle 10 città in cui si spende di più per l’acquisto di uova come prima preferenza scelgono il cioccolato al latte. Solo a Taranto vince il gianduia, ricetta che guadagna il secondo gradino del podio anche a Bari.
Anche se le uova di cioccolato al latte sono le più apprezzate compaiono anche uova al fondente o fondente extra, in particolare a Roma, L’Aquila, Gorizia, Cagliari, Grosseto e Rimini, mentre il cioccolato bianco si intravede solo nei carrelli di Cagliari, Grosseto e Roma.

Colomba: meglio la “classica”

Tra gli italiani che scelgono la colomba la preferita è quella classica, ma c’è spazio anche per le versioni con glasse e creme sfiziose
In base ai dati di Everli, le colombe riscontrano successo soprattutto in Lombardia, regione che vanta due località all’interno della top 10 delle province italiane dove si spende di più per l’acquisto di tale prodotto: Cremona (8°) e Mantova (10°). Inoltre, paragonando le spese effettuate nel 2021 rispetto al 2020, si registrano impennate di acquisti per le colombe pasquali a Rovigo, dove la spesa è aumentata di 11 volte, a Trieste e a Ravenna, dove la spesa per questo prodotto è più che raddoppiata (rispettivamente + 157% e +114%).

Fanno capolino anche ricette “alternative”
Ma come deve essere per gli italiani la colomba ideale? Guardando alla top 10 delle province italiane che apprezzano di più questo dolce, il ‘voto’ non è unanime. Benché ci sia preferenza per la versione classica (vince in 4 città su 10) o veronese (amata solo a Mantova), fanno capolino anche ricette ‘alternative’ e particolarmente golose, dalla colomba arricchita con crema di limoncello (Cagliari), di crema chantilly (Pisa) o con gocce di cioccolato (Taranto), fino a quella senza canditi, che appare nei carrelli di Palermo e Rovigo.