Una mini guida ai 5 (peggiori) consigli dei boomer su Maturità e Università

L’app thefaculty ha stilato un elenco delle 5 peggiori frasi da dire a chi sta scegliendo la strada da prendere una volta concluse le scuole superiori. Una mini-guida pensata per chi ha fratelli, amici, parenti che stanno vivendo questa delicata fase della vita.
Secondo un’analisi realizzata da thefaculty, a gennaio 2024 il 71% degli studenti italiani era ancora molto indeciso sul proprio futuro.

Le motivazioni principali dell’indecisione risultano collegate a uno scarso contatto tra scuola e mondo del lavoro, alle troppe opzioni disponibili, che creano negli studenti un costante timore di non riuscire a consultarle, e alle pressioni provenienti dalla famiglia e dall’esterno. Per questo motivo, è importante evitare di elargire consigli non richiesti.

“Se scegli quella facoltà sarai disoccupato”

‘Se ti iscrivi a quell’università, avrai il posto in azienda assicurato’: nonostante sia una delle credenze più comuni, scegliere l’università pensando già a quale lavoro porterà è sbagliato e poco utile.
Soprattutto in questo periodo storico, dove il mondo del lavoro è in continua evoluzione, con nuove figure professionali che nascono e altre che si rinnovano, diventa quasi impossibile sapere oggi quale lavoro si andrà a fare tra qualche anno.

‘Aaah… vorresti fare x facoltà? Ti piace la vita da disoccupato?’: se dovessimo contare tutte le persone che hanno studiato all’università una cosa e nella vita hanno fatto tutt’altro, risulterebbe una ricerca infinita. Piuttosto, qualsiasi scelta (universitaria o no) non sarà mai definitiva e si è sempre in tempo per cambiarla o modificarla.

“Meglio trovare qualcuno che ti mantenga”

‘Se sceglierai questa università, dovrai trovare qualcuno che ti mantenga’: si sa, università non è sinonimo di risparmio. Soprattutto se il corso che interessa si trova lontano da casa.

Non tutte le famiglie hanno le stesse disponibilità economiche e la scelta di iscriversi all’università ricade un po’ su tutti i membri. Nonostante questo, non è giusto tarpare le ali se l’interesse di proseguire gli studi c’è. Piuttosto che dire ‘trova qualcuno che ti mantenga’, il consiglio di chiedere agli studenti ‘cosa ti riesce bene? Ci sono attività che non ti pesano e consideri più piacevoli di altre?’ e valutare in base alle risposte potenziali lavoretti da svolgere nel tempo libero dallo studio.

“Io alla tua età già lavoravo!”

‘Questa facoltà è troppo impegnativa per te. Perché non ne scegli una più semplice?’: è un tipo di commento da evitare come la peste, perché non fa altro che generare preoccupazioni e dubbi immotivati. Gli studenti hanno bisogno di stimoli, non di essere scoraggiati.

Un altro commento deleterio è: ‘L’università è inutile, noi alla tua età avevamo già un lavoro’.
Dare consigli basandosi solo sulla propria esperienza, è la cosa peggiore da fare. ‘Esserci già passati’ non dovrebbe dare il permesso di suggerire interpretazioni drastiche, come ad esempio l’utilità o meno dell’università.
Il consiglio migliore da dare agli studenti ancora indecisi,  riporta Ansa, è: ‘seguite le vostre passioni’ e non le scelte altrui. Più le scelte sono personali, più daranno soddisfazioni a lungo termine.

Allarme occupazione: tra 10 anni l’Italia avrà 3 milioni di lavoratori in meno

Con sempre meno giovani e con tanti baby boomer destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età, molti territori italiani subiranno un autentico ‘spopolamento’, anche di potenziali lavoratori, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra le 107 province d’Italia monitorate dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre solo quella di Prato registrerà una variazione assoluta positiva.

Se all’inizio del 2024 la platea delle persone in età lavorativa (15-64 anni) presente in Italia include poco meno di 37,5 milioni di unità, nel 2034 è destinata a scendere rovinosamente, arrestandosi a poco meno di 34,5 milioni di persone.
Insomma, le previsioni della CGIA evidenziano che in Italia entro i prossimi 10 anni ci saranno 3 milioni di lavoratori (-8,1%) in meno.

Colpa dell’invecchiamento della popolazione

Se le ragioni di questo crollo vanno ricercate nel progressivo invecchiamento della popolazione, le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno soprattutto il Sud.

Lo scenario più critico interesserà la Basilicata, che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di lavoratori del 14,6 % (-49.466). Seguono la Sardegna (-14,2 %, -110.999), la Sicilia (-12,8%, -392.873), la Calabria (-12,7%, -147.979) e il Molise, con il -12,7% (-22.980).
Di contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno saranno la Lombardia (-3,4%, -218.678), il Trentino Alto Adige (-3,1%, -21.368) e l’Emilia Romagna (-2,6%, -71.665).

I vuoti occupazionali nelle micro e piccole imprese

Già oggi molte imprese denunciano la difficoltà di trovare personale preparato da inserire nel proprio organico. E il Mezzogiorno potrebbe avere meno problemi del Centro-Nord. A differenza di quest’ultimo, infatti, il primo, avendo tassi di disoccupazione e di inattività molto elevati, potrebbe colmare, almeno in parte, i vuoti occupazionali che interesseranno soprattutto il settore agroalimentare e quello ricettivo.

È altresì evidente che tante imprese, soprattutto di piccola dimensione, saranno costrette a ridimensionare l’organico perché impossibilitate ad assumere.
Per le medie e grandi imprese, invece, il problema dovrebbe essere più contenuto. Con la possibilità di offrire stipendi più elevati, orari ridotti, benefit e pacchetti di welfare aziendale, i pochi giovani presenti nel mercato del lavoro non esiteranno a scegliere le grandi imprese anziché le piccole.

Una contrazione strutturale per tanti settori economici

Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici, in particolare, per la spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e assistenziale. 

Con pochi under30 e una presenza di over65 molto diffusa, alcuni settori economici potrebbero subire contraccolpi negativi, provocando una contrazione strutturale del PIL. Una società costituita prevalentemente da persone in età avanzata rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa).
Le banche, al contrario, potrebbero contare su alcuni effetti positivi;. La maggiore predisposizione al risparmio potrebbe spingere le persone più anziane ad aumentare i depositi bancari. 

Mutui: rate tasso variabile +36%

L’aumento dei tassi di interesse, la risposta della BCE per contrastare l’inflazione, ha generato una serie di conseguenze per coloro, sia privati sia ditte individuali, che in questi anni hanno sottoscritto mutui a tasso variabile.
La crescita dei tassi, rispetto ai minimi di metà 2022, ha comportato un aumento della rata per i mutui a tasso variabile mediamente del +36% rispetto ai minimi di metà 2022.

Di fatto, per i mutui a tasso variabile sottoscritti negli ultimi 5 anni l’esposizione residua a fine 2023 aumenta del 25%. E la tensione finanziaria incrementa di oltre 15 punti percentuali per le fasce medio-alte.
Secondo l’analisi condotta da CRIF sull’impatto dell’innalzamento dei tassi sui mutui (elaborata sul patrimonio informativo del Sistema di Informazioni Creditizie EURISC), il 26% dei mutui ipotecari attivi a gennaio 2022 era a tasso variabile.

Aumenta l’esposizione finanziaria dei mutuatari

L’effetto più tangibile dell’innalzamento dei tassi è sulla rata media, con un picco del +49% per i mutui erogati negli ultimi 5 anni.
Tale aumento ha inciso inevitabilmente anche sull’esposizione finanziaria di chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile.

Difatti, la principale evidenza emersa dall’analisi CRIF è l’aumento dell’esposizione finanziaria dei mutuatari, nonostante le 24 rate pagate nel periodo fra gennaio 2022 e dicembre 2023.
L’analisi registra che il trend di crescita dei tassi ha significato un incremento del +25% sul livello complessivo di indebitamento di chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile negli ultimi 5 anni.

Ma il tasso di insolvenza non aumenta

In parallelo, l’aumento delle rate mensili ha prodotto un peggioramento significativo del rapporto rata-reddito, in media di 8 punti percentuali dai minimi di metà 2022. Inoltre, per i mutui erogati negli ultimi 5 anni tale peggioramento ha raggiunto i 10 punti percentuali.
Nonostante l’aumento dei tassi di interesse, i soggetti con mutui a tasso variabile non hanno mostrato un incremento nel tasso di insolvenza.

L’analisi dell’indice di tensione finanziaria, costruito da CRIF per identificare casi di eccessivo indebitamento e prevenire situazioni di dissesto, mostra invece un peggioramento.
In questo caso, i soggetti con mutui a tasso variabile mostrano un aumento della tensione finanziaria, con uno spostamento di oltre 15 punti percentuali dalle classi di livello basso e medio-basso a quelle di livello medio-alto e alto.

Possibile abbassamento a giugno, ma è fondamentale restare vigili

“Le dinamiche di crescita dei tassi di interesse hanno portato nell’ultimo biennio a un significativo impatto sui mutuatari a tasso variabile – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF -. Tuttavia, nonostante questi impatti, i dati evidenziano che non c’è stato un incremento significativo nel tasso di insolvenza, sebbene si sia osservato un aumento della tensione finanziaria. Le prospettive di un possibile abbassamento dei tassi a giugno 2024 fanno sperare per un sollievo ai mutuatari, riducendo la pressione e contribuendo a stabilizzare la situazione finanziaria. In ogni caso, è fondamentale, nell’attuale contesto macroeconomico e geopolitico di incertezza, rimanere vigili per affrontare le sfide che lo scenario potrebbe presentare”.

Pubblicità Out of Home: nel 2023 raggiunge 201 milioni di euro

Nel 2023 il mercato pubblicitario Out of Home (OOH) aumenta la sua importanza all’interno del Media Mix pubblicitario italiano raggiungendo il 7% della raccolta complessiva (+1% vs 2022).
Secondo i dati dell’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano, il mercato OOH tocca quota 696 milioni di euro (+13%).

In questo panorama è sempre più rilevante il ruolo del Digital Out Of Home (DOOH), che con 201 milioni di euro (+21%), pesa circa un terzo sulla raccolta totale del mezzo.
La raccolta pubblicitaria complessiva DOOH si suddivide tra impianti Roadside (65%, pensiline, affissioni ecc), Transit Media (33%, mezzi di trasporto in aeroporti, stazioni, metropolitane), Retail & Leisure (2% circa, negozi, centri commerciali, stadi ecc).

Il Programmatic Digital Out of Home

Lo sviluppo della componente digital e i crescenti investimenti per la diffusione di impianti digitali portano nuove opportunità per il mercato Out of Home, che ora può sfruttare modalità di compravendita simili al Programmatic advertising disponibile per gli spazi pubblicitari online.

In particolare, il Programmatic Digital Out of Home (pDOOH) fa riferimento all’automazione del processo di acquisto, vendita e distribuzione dell’inventory degli schermi digitali, offrendo agli advertiser funzionalità di targeting avanzate per raggiungere gli utenti anche fuori casa.
In Italia il mercato del Programmatic DOOH è ancora piuttosto contenuto anche se registra tassi di crescita rilevanti: nel 2023 vale circa 10 milioni (+61%) e pesa il 5% della raccolta Digital Out of Home.

La misurazione del mezzo Out of Home

Il mercato a oggi è caratterizzato da una molteplicità di tecnologie e modalità di rilevazione di dati utili per la pianificazione e la misurazione delle campagne Out of Home.
In particolare le tecnologie di rilevazione si possono ascrivere a due categorie principali, le classi di dati provenienti da monitoraggio diretto da parte del Media Owner (sensori Wi-fi, beacon bluetooth, cam) e quelle derivanti da player terzi di diversi settori (GPS/SDK app, Telco/SIM).

Questi sistemi permettono di raccogliere dati e informazioni con i quali implementare metriche differenti (tra le quali viewers, tempo di permanenza, tempo di attenzione, frequenza di ritorno) volte a supportare una pianificazione efficace della campagna.

Ma è ancora arduo valutare campagne complesse

Se questi approcci abilitano l’effettiva possibilità di una valutazione dell’impatto atteso delle campagne, agli occhi degli advertiser rimangono alcune aree rilevanti di miglioramento.
Tra queste emergono soprattutto l’eterogeneità dell’offerta da parte delle concessionarie Out of Home, la frammentazione del mercato e la mancanza di uniformità delle metriche proposte, per cui una stessa metrica può essere basata su calcoli e dati diversi a seconda del Media Owner di riferimento.

Questo ha come conseguenza un sistema di misurazione che rende ancora ardua la valutazione di campagne complesse, soprattutto nel caso di stima dell’impatto di iniziative cross-media che vedono integrata all’OOH anche l’attivazione di altri mezzi (Tv, mobile, ecc.).

Tra il 2024 e il 2028 serviranno da 3,1 a 3,6 milioni di occupati

Emerge dal report sulle Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine, elaborato nell’ambito del Sistema informativo Excelsior e realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro: tra il 2024 e il 2028 il mercato del lavoro italiano potrà esprimere un fabbisogno compreso tra 3,1 e 3,6 milioni di occupati.

Nello scenario più positivo, in Lombardia, con un fabbisogno atteso pari a 669mila unità, si concentrerà oltre il 18% dell’intera domanda nazionale, nel Lazio il 9,8% (356mila unità), in Campania l’8,8% (320mila), in Emilia-Romagna l’8,4% (306mila) e in Veneto l’8,3% (302mila). 
Sulle previsioni inciderà l’effettivo impatto delle risorse stanziate con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Circa il 41% del fabbisogno interesserà dirigenti, specialisti e tecnici

Le necessità di sostituzione dei lavoratori in uscita dal mercato del lavoro determineranno la gran parte del fabbisogno (2,9 milioni di unità nel quinquennio), pari a una quota dell’80% nello scenario positivo e del 92% in quello negativo.

Nel 2024-2028, per l’insieme dei settori privati e pubblici, circa il 41% del fabbisogno complessivo interesserà dirigenti, specialisti e tecnici (tra 1,3-1,5 milioni), mentre le professioni commerciali e dei servizi assorbiranno il 19% del fabbisogno totale, gli impiegati il 15%, gli operai specializzati l’11% e i conduttori di impianti il 6%.
Rispetto all’attuale struttura professionale saranno perciò destinate a crescere le professioni specialistiche e tecniche, ma anche quelle impiegatizie, mentre continueranno a diminuire operai specializzati e conduttori di impianti.

Atteso mismatch in ambito STEM

Circa il 38% del fabbisogno occupazionale del quinquennio riguarderà professioni con una formazione terziaria (laurea, diploma ITS Academy o AFAM), il 4% profili con diploma liceale e il 46% personale in possesso di formazione secondaria di secondo grado tecnico-professionale.
In particolare, nell’istruzione terziaria sarà elevato il fabbisogno di personale con titolo in ambito STEM, che determinerà un significativo mismatch rispetto alla presenza di giovani in possesso di questo tipo di formazione.

Per l’insieme dei percorsi STEM potrebbero mancare, infatti, ogni anno tra 8mila e 17mila giovani.
Per quanto riguarda gli altri indirizzi, è attesa una carenza di offerta per insegnamento e formazione (mancheranno tra 9mila-12mila giovani), economico-statistico (5-11mila) e medico-sanitario (circa 7mila).

Le transizioni green e digitale incideranno sulla domanda

Anche per la formazione secondaria di tipo tecnico-professionale è prevista una carenza di offerta, che riguarderà sia i percorsi quinquennali (mancheranno tra 13mila-42mila giovani all’anno) sia quelli di Istruzione e Formazione Professionale. 

I macro trend delle transizioni green e digitale incideranno sulla domanda di personale, portando sia all’innalzamento delle competenze verdi e digitali richieste sia alla nascita di nuove figure professionali.
Si stima che tra il 2024 e il 2028 il possesso di competenze green verrà richiesto con importanza almeno intermedia a oltre 2,3 milioni di lavoratori (quasi i due terzi del fabbisogno del quinquennio) e le competenze digitali a 2,1 milioni, oltre il 58% del fabbisogno totale.

Il mercato italiano della distribuzione IT: bilanci e prospettive  

Il panorama della distribuzione IT italiana ha chiuso il 2023 con segno negativo. Il comparto ha infatti registrato una diminuzione del 7,8% a valore rispetto all’anno precedente. Secondo i dati del Panel Distribuzione GfK, tutti i principali settori hanno subito un calo, coinvolgendo sia il lato Consumer con una contrazione del 10,6%, sia gli investimenti degli utenti Business con un -6,1%.

Tensioni sul mercato 

La diminuzione del valore di mercato è attribuibile alla fine delle tensioni sull’offerta di prodotti, che ha riportato i prezzi unitari ai livelli pre-pandemici. Questa situazione ha messo in luce la sfida per i protagonisti della catena distributiva nel recupero della marginalità, erosa da una disponibilità eccessiva di prodotti Tech rispetto alla domanda effettiva.

La trasformazione della distribuzione IT con la Supply Chain 4.0

Uno degli elementi principali che emerge dal panel è la trasformazione della distribuzione IT end-to-end, accentuata dall’avvento della Supply Chain 4.0. Questa fase è caratterizzata dall’applicazione dell’Internet of Things, della robotica avanzata e dell’analisi dei big data nella gestione della filiera. L’attenzione si concentra su processi di pianificazione avanzati come la pianificazione analitica della domanda o S&OP integrato, che sono ormai diventati processi consolidati in molte realtà aziendali.

S&OP per la gestione della Supply Chain

In questo contesto è cruciale l’implementazione efficace del processo di Sales and Operations Planning (S&OP). Tale processo rivisita i piani di allineamento tra la domanda del cliente e le forniture per l’orizzonte di pianificazione prefissato.

La pianificazione derivante dal processo S&OP consente al team di gestione di analizzare le performance passate, identificare le aree di miglioramento e definire azioni future per raggiungere gli obiettivi desiderati.
La frequenza di revisione del processo dipende da fattori come il ciclo di vita del prodotto e la variabilità della domanda. Quindi, un processo di S&OP efficace abilita una gestione efficace lungo tutta la Supply Chain.

Il ruolo delle tecnologie emergenti 

Negli ultimi anni, tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa, l’analisi dei dati, l’automazione, l’apprendimento automatico, l’Internet of Things e la blockchain hanno già rivoluzionato le pratiche tradizionali nella gestione della Supply Chain. L’evoluzione verso una catena di approvvigionamento intelligente sembra essere la nuova normalità che caratterizzerà gli anni a venire.

Lavoro e GenZ: “non siamo sfaticati”

I nativi digitali vogliono essere protagonisti del loro futuro e ceo dei loro sogni, al contempo, rigettano alcuni stereotipi che li accompagnano nel mondo del lavoro. Di fatto, non vogliono essere definiti una generazione ‘sfaticata’.

Stando ai risultati dall’ultima ricerca di Zelo sul mondo del lavoro, il 41% dei GenZ preferirebbe lavorare in una grande azienda, anche se le multinazionali piene di superuomini e superdonne ‘sempre performanti’ intimoriscono i ragazzi. Inoltre, vorrebbero esser a capo di un’azienda tutta loro, ma quando si tratta di doversi prendere le responsabilità affermano di volerle condividere con il team, o non volersele ‘accollare’ perché generano ansia (60%).

Il lavoro ideale non è scandito da regole, ma da obiettivi

I ragazzi Z vivono nella costante paura del fallimento e del timore del giudizio. Abituati alla gratificazione immediata dei social, per loro i feedback non sono un plus, ma l’ossessione che li guida nei progetti e nelle loro giornate lavorative. Il feedback deve avere con sé un suggerimento o esempio concreto (38%), e un riscontro negativo li porta a dubitare di sé stessi (37%).

La GenZ ha anche bisogno di leader che sappiano motivare e ‘parlino bene di loro’ con gli altri. Non stupisce quindi che affermino di sentirsi gratificati se ricevono complimenti dal capo o i colleghi (60%) o premi in denaro (37%).
Il lavoro ideale? Non è scandito da regole, ma da obiettivi chiari (42%), meglio se nelle prime fasi di onboarding c’è un tutor dedicato (49%. 

Gli amici al lavoro placano la Fomo

Anche sul posto di lavoro, poi, sono alla ricerca di nuovi amici con cui magari fare i Be Real durante la giornata e con cui andare agli eventi post lavoro per placare la Fomo (Fear of Missing Out), la paura e l’ansia sociale di essere esclusi da esperienze ed eventi.

E anche lo smart working si rivela un ‘falso mito’ per attrarre la GenZ, visto che il 39% non lo ritiene fondamentale se il lavoro piace. Al contrario, un 14% pensa che il lavoro da remoto sia ‘indispensabile’ proprio per limitare quell’ansia sociale che questa generazione vive costantemente.
A fronte di una generazione ‘emotiva’, profondamente diversa da quelle che l’hanno preceduta, anche gli Hr devono rivedere i loro modelli operativi.

La recruting journey va ripensata

Occorre infatti che gli ultimi vent’anni sono gli unici in cui hanno vissuto i ragazzi della GenZ e sono anche quelli in cui si è alleggerito sensibilmente il livello di formalità in ogni ambito della vita.

Ad esempio, ‘dare del lei’ è diventato demodé, le chat hanno preso il posto delle panchine e i grandi must di eleganza sono diventati pezzi iconici per le feste in maschera.
La recruting journey va ripensata: dal linguaggio ai cerimoniali di accoglienza, dai job title all’iter di selezione, tutto quello che si fa per ‘sembrare seri’ oggi non convince più.

Lavoro: nel 2024 il 61% cercherà una nuova posizione 

Secondo un’indagine condotta su scala internazionale da Linkedin, circa 6 italiani su 10 (61%) stanno valutando nuove sfide professionali nell’anno in corso. E la principale motivazione è sicuramente la possibilità di un aumento di retribuzione (34%), seguita dalla ricerca di una migliore work-life balance, importante per il 23% dei professionisti nel nostro Paese.

In Italia, sono le donne a farsi da protagoniste della tendenza a esplorare nuove opportunità professionali, con il 66% delle intervistate (56% uomini) che dichiara di valutare o cercando attivamente una nuova posizione.
In questo scenario, la competizione tra professionisti si fa sempre più alta e la capacità di valutare correttamente e ampliare le proprie skill diventa fondamentale.

L’importanza delle skill

Più della metà (51%) dei professionisti dichiara però di trovare frustrante l’attività di ricerca di un nuovo lavoro. Tra le donne, il senso di disagio è più alto (56%) rispetto agli uomini (46%).
Non solo, il 35% delle intervistate non sa come allineare le proprie competenze con quelle richieste per accedere a nuove opportunità professionali, contro il 47% che si sente sicura.

In generale, lavoratori e lavoratrici in Italia sembrano consapevoli dell’importanza delle competenze. Il 74% degli italiani, infatti, considera il re-skilling necessario, percentuale che sale all’80% tra i Millennials.
Le skill ritenute più importanti sono capacità di problem solving (31%), abilità nel comunicare (30%) e conoscenza di una o più lingue straniere (23%).

Voglia di crescita per Millennials, GenZ e Gen X

Se il 55% dichiara di volersi nuovamente concentrare sul proprio percorso di crescita professionale, il dato sale al 58% tra i Millennials, al 56% tra GenZ e GenX per poi abbassarsi al 48% tra i Boomers.
L’attenzione è alta anche per quanto riguarda i metodi di ricerca: il 43% (48% Millennials) ha cambiato strategia per stare al passo con i cambiamenti nel mondo del lavoro. Resta basso, tuttavia, il numero di application ricevute da parte delle aziende di destinazione. Il 43% dei professionisti afferma di ottenere raramente un feedback.

Sembra poi essere diffuso un certo spirito di imprenditorialità: il 56% sta valutando la possibilità di mettersi in proprio, rimanendo nel proprio settore (19%), cambiando campo (15%), o trasformando la propria passione in un lavoro vero e proprio (22%).

Il punto di vista degli HR

Il 62% degli hiring manager ritiene che nel 2024 i datori di lavoro avranno maggiore capacità di negoziare con i candidati. Tuttavia, il 39% dei responsabili delle assunzioni prevede un aumento del tasso di turnover e il 55% sottolinea la difficoltà di trovare candidati qualificati.

Il 31% degli intervistati ritiene, come riporta Adnkronos, che fornire programmi interni di apprendimento e sviluppo (L&D) centrati, ad esempio, sull’AI generativa sia fondamentale per trattenere i talenti più qualificati.
Più nel dettaglio, secondo il 71% degli intervistati i dipendenti della GenZ hanno bisogno di ulteriore supporto per sviluppare le soft skills (come comunicazione, collaborazione, negoziazione), nonostante per il 76%8 degli hiring manager siano i più aperti all’adozione di nuove tecnologie, come l’AI.

Acquisti online, per il 39% è meglio del negozio fisico

Il Global Consumer Trends Report di BigCommerce e Retail Dive ha rivelato che il 39% delle persone intervistate preferisce effettuare acquisti online, mentre solo il 21% predilige il tradizionale negozio fisico. L’indagine fa riferimento a un campione di 1.300 individui distribuiti fra Europa, Nord America, Medio Oriente e Africa.

Convenienza e flessibilità guidano le scelte

Il 77% degli acquirenti online ha dichiarato di aver speso nel 2023 quanto o più rispetto all’anno precedente. La convenienza e la flessibilità degli acquisti digitali, unite alla possibilità di ricevere sconti esclusivi e omaggi, hanno contribuito a all’aumento delle spese sul web.

Shopping almeno due volte al mese 

Il 76% degli intervistati effettua acquisti attraverso siti web, app o social media almeno due volte al mese, mentre quasi la metà (49%) compie almeno un acquisto online a settimana. Ma cosa si compra? Gli ambiti preferiti risultano essere abbigliamento e accessori (47%), salute e bellezza (40%) e ristoranti e generi alimentari (36%).

Per quanto riguarda gli acquisti su abbonamento, i generi alimentari sono la categoria più popolare (30%), seguiti da intrattenimento (22%) e cosmetici/cura del corpo (21%).

Spedizione gratuita: una formula fondamentale  

Il 40% degli intervistati considera uno dei principali svantaggi dello shopping online la necessità di pagare costi aggiuntivi per la spedizione. La spedizione gratuita è diventata un’aspettativa fondamentale per i consumatori digitali, con il 26% che ammette di aver abbandonato il carrello proprio a causa delle spese di spedizione.

Ricerche e confronti prima di pagare il carrello 

I consumatori online effettuano ricerche e confronti prima di acquistare. La maggior parte delle ricerche avviene su dispositivi mobili (61%), seguite da quelle sul web (57%) e su marketplace (57%).

Tuttavia, non solo i consumatori effettuano ricerche per trovare i prodotti che desiderano, ma effettuano anche confronti di prezzo con i rivenditori concorrenti. Il 95% dei consumatori intervistati dichiara di confrontare i prezzi prima di acquistare un prodotto.

Buy Now, Pay Later (BNPL): cresce l’interesse per i pagamenti flessibili  

Il 23% degli acquirenti ha utilizzato il Buy Now, Pay Later (BNPL), dimostrando un crescente interesse nei metodi di pagamento flessibili. Nonostante la prevalenza delle carte di credito o debito (93%), il BNPL sta guadagnando popolarità nel processo di checkout. Insomma, è il segnale che la possibilità di pagare in modalità diversificate sta diventando un plus.

Data Center, un settore che in Italia vale 654 milioni di euro

In Italia, il mercato della colocation dei Data Center, ovvero la compravendita o l’affitto di infrastrutture per ospitare server e dati delle organizzazioni, ha raggiunto nel 2023 un valore di 654 milioni di euro, registrando un aumento del 10% rispetto al 2022.

Si prevede che, in condizioni favorevoli, tale dato possa addirittura raddoppiare entro il 2025. Questo settore ha generato un indotto significativo, influenzando positivamente i mercati digitali abilitati da queste infrastrutture.

Milano è il primo polo infrastrutturale del Paese

Le nuove aperture di Data Center nel 2023 hanno portato la potenza energetica nominale attiva in Italia a 430 MW, registrando un incremento del 23% rispetto all’anno precedente. Milano si conferma come il principale polo infrastrutturale del Paese, con 184 MW, proponendosi come un punto di interesse crescente nel panorama europeo dei Data Center, anche se ancora distante da realtà consolidate come Francoforte.
Altre città emergenti in questo contesto sono Madrid e Varsavia.

Un comparto estremamente dinamico

Il primo Osservatorio Data Center, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, ha presentato questi dati all’evento “Data Center Economy: l’Italia a un punto di svolta”. Si evidenzia un’accelerazione nel settore, con 23 organizzazioni (di cui 8 nuove nel mercato italiano) che prevedono l’apertura di 83 nuove infrastrutture tra il 2023 e il 2025, con un potenziale investimento complessivo di fino a 15 miliardi di euro.

Tale sviluppo è parte di un cambiamento più ampio nel panorama europeo, con una decentralizzazione dell’ecosistema Cloud e una maggiore attenzione alla riduzione della latenza nella trasmissione dei dati, promuovendo la creazione di nuove infrastrutture di prossimità (edge computing). L’Italia si sta posizionando come un polo di riferimento nella gestione del dato e nella Cloud sovereignty, anche grazie al PNRR e alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

Le sfide italiane e il vuoto normativo

Tuttavia, l’Italia deve affrontare alcune sfide. Il settore dei Data Center non è ancora riconosciuto a livello regolatorio, causando incertezze e ritardi nei processi di apertura di nuove infrastrutture. È fondamentale definire norme specifiche e procedure chiare. Inoltre, i Data Center di potenza superiore ai 10 MW richiedono un allacciamento all’alta tensione, un’infrastruttura non sempre disponibile sul territorio, necessitando di investimenti per potenziare la rete elettrica nazionale.

In conclusione, l’Italia si trova di fronte a un’opportunità unica nel settore dei Data Center, ma è cruciale affrontare queste sfide regolatorie e infrastrutturali per sfruttarla appieno e diventare un punto chiave nell’infrastruttura digitale europea e mediterranea.