I numeri della cybersicurezza nazionale nel 2022

I numeri della cybersicurezza nazionale si possono leggere nella relazione annuale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, l’ACN. La relazione fornisce una panoramica sulle attività, i dati e le progettualità dell’ACN per il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022. Un anno complesso, che ha visto la maturazione dell’Agenzia, nata per decreto nella seconda metà del 2021, e che la necessità di mettere il Paese in sicurezza ha portato a dare alla luce la Strategia nazionale di cybersicurezza 2022-2026 e il relativo Piano di implementazione.

Più di 1.000 eventi cyber e 81 segnalazioni derivanti da obblighi di legge

Si tratta di un documento di indirizzo fatto di 82 misure, volto a sostenere il potenziamento cyber del sistema Paese per far fronte alle sfide del mondo digitale rispetto ai tre obiettivi fondamentali di protezione, risposta e sviluppo digitale del Paese. Un anno intenso, quello descritto dalla relazione che ha visto l’Agenzia operare a tutela degli interessi nazionali nel campo della cybersicurezza. Per far fronte alla complessità del panorama della minaccia cibernetica, il CSIRT Italia, il Computer Emergency Response Team, nel 2022 ha trattato 1.094 eventi cyber, di cui 126 hanno avuto un impatto confermato dalla vittima. Sul fronte delle comunicazioni ricevute sono state invece registrate 81 segnalazioni derivanti da obblighi di legge.

Potenziamento di 129 progetti rivolti a 51 PA

Nel 2022 ACN ha anche gestito 6 accordi che hanno determinato l’avvio delle iniziative mirate al potenziamento di 129 progettualità rivolte a 51 PA, 16 centrali e 35 locali. Ha inoltre realizzato 67 misure per determinare i livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità delle infrastrutture digitali, e garantire le caratteristiche di qualità, di sicurezza, di performance e scalabilità, interoperabilità, portabilità dei servizi cloud. E ha lanciato il Cyber Innovation Network, una rete di collaborazioni per lo sviluppo di programmi congiunti nel settore della cybersicurezza. Ma, soprattutto, ha definito un programma di azioni sinergiche tra ricerca, start-up e alta imprenditoria al fine di sostenere l’innovazione, il rafforzamento tecnologico e industriale del sistema Paese con la stesura di un’Agenda di ricerca e innovazione (R&I) e altre iniziative di collaborazione nazionali ed europee in ambito ricerca sulla cybersecurity.

Cinque missioni internazionali e 19 incontri bilaterali

La proiezione internazionale dell’Agenzia ha implicato incontri e collaborazione internazionali. Nel 2022 l’Agenzia ha svolto 5 missioni internazionali di vertice a Bruxelles, negli Stati Uniti, Israele, Canada, 19 incontri bilaterali con rappresentanti di autorità di cybersecurity estere o rappresentanti governativi, e 4 meeting con rappresentanti di organizzazioni intergovernative. Al suo attivo anche 27 riunioni del Nucleo per la cybersicurezza (NCS), la sede primaria di coordinamento interministeriale, a livello tecnico-operativo, in materia di cybersicurezza e resilienza nazionale nello spazio cibernetico.

Gli smartphone Android potranno essere localizzati anche da spenti 

Google sta lavorando alla prossima generazione della funzione ‘Trova il mio dispositivo’ da oltre un anno. Il servizio potrà creare una rete di tracciamento di dispositivi Android, e consentirebbe di individuare la posizione di uno smartphone smarrito sfruttando oltre 3 miliardi di dispositivi Android dislocati in tutto il mondo. Secondo l’informatore Kuba Wojciechowski la funzione potrebbe chiamarsi Pixel Power-off Finder, e manterrebbe sempre abilitato il Bluetooth sul dispositivo, anche quando il telefono non è acceso, così come già accade per gli iPhone di Apple. Google ha anticipato l’arrivo della ‘rete’ a dicembre, e ha iniziato a implementare un interruttore (‘Memorizza posizione recente’) per ‘Trova il mio dispositivo’ a gennaio. Questo interruttore consentirà di attivare la condivisione della posizione del dispositivo con Google.

Un nuovo livello di astrazione hardware

La funzione richiederebbe al telefono di condividere la sua posizione ogni volta che la batteria scende al di sotto di un certo livello. Questo, darebbe un vantaggio se il telefono ‘muore’ prima che ci si accorga che manca. Il codice sorgente per Android 14 iscritto al programma di accesso anticipato include un nuovo livello di astrazione hardware (hardware.google.bluetooth.power_off_finder), tuttavia, la funzionalità potrebbe richiedere un certo supporto hardware, e non è chiaro se i dispositivi Android esistenti sul mercato possono supportare tale funzione. Ma ci si aspetta che i dispositivi futuri siano dotati di hardware in grado di gestirlo. Google però non ha saputo quando o se questa nuova funzione di tracciamento sarà disponibile.

Una rete di tracciamento simile alla funzione ‘Dov’è’ di Apple

La funzionalità ricalca quindi quella che Apple ha implementato sugli iPhone, utile quando si smarrisce il telefono o viene rubato. La funzione è stata scoperta nel codice sorgente di Android 14 in fase di test, ed è probabile che venga resa disponibile intanto per i futuri modelli di smartphone Pixel, per poi arrivare su qualunque dispositivi Android. Funzionerebbe con una rete di tracciamento in maniera simile a quello che fa Apple con la funzione ‘Dov’è’, che permette ai possessori di dispositivi della Mela di comunicare con gli smartphone rubati che passano nelle loro vicinanze, e comunicare quindi la posizione al legittimo proprietario.

Il problema della privacy

Il tutto avverrebbe in maniera anonima, riporta Ansa, e con la possibilità che la funzione possa essere disattivata dal legittimo proprietario. Resta da capire come Google voglia sviluppare Pixel Power-off Finder dal punto di vista della privacy. Forse maggiori particolari saranno svelati alla Google I/O, la conferenza degli sviluppatori Google, che si terrà il 10 maggio.

Boom enoturismo, il ruolo centrale delle Donne e delle Città del Vino 

Il 3 aprile di 30 anni fa nasceva a Verona il Movimento Turismo del Vino, la prima associazione sull’enoturismo, e a distanza di tremt’anni i 145 comuni delle Città del Vino, le Donne del Vino. La Puglia in Più e il Movimento Turismo del Vino hanno celebrato l’anniversario a Vinitaly mostrando i dati di crescita del comparto.
Si tratta di un’indagine a cura di Nomisma – Wine Monitor, che costituisce un Osservatorio sul turismo del vino. Un turismo che accelera, con l’aumento nel numero e nelle tipologie delle esperienze offerte. Infatti, le 265 cantine turistiche del Movimento sono triplicate e hanno diversificato l’offerta per i viaggiatori eno-appassionati. Determinante in questo il ruolo delle cantine turistiche delle Donne del Vino, ma non mancano le criticità.

L’offerta e la domanda enoturistica femminile

Benché le cantine turistiche italiane siano dirette soprattutto da uomini (55%), il management della wine hospitality è soprattutto femminile (73%).
La wine hospitality delle Donne del Vino si differenzia per una maggiore diversificazione dell’offerta. Non solo vino, quindi, ma anche attività legate al benessere, alla ristorazione (28%) e ai corsi di cucina (40%), alla ricettività (36%), allo sport (piscine 15%) e all’organizzazione di visite a luoghi limitrofi o di collegamento a eventi culturali (50%). In altre parole, le donne stanno efficacemente trasformando l’attrattiva vino in una proposta di soggiorno con attività legate all’arricchimento culturale e alla rigenerazione, che ha origine nella natura.

Le cantine turistiche italiane

La tipologia di cantina turistica più diffusa in Italia è quella piccola e familiare (39%), particolarmente presente in Campania, Puglia e Umbria. Seguono le cantine con rilevanza storica o architettonica (14%), più presenti in Veneto e in Piemonte, mentre le imprese con marchio famoso o storico sono il 12% del totale, particolarmente diffuse in Veneto e Sicilia. Piemonte, Toscana, Friuli e Sicilia si caratterizzano invece per imprese del vino con particolari bellezze paesaggistiche e naturalistiche (11%). mentre in Puglia e in Umbria è più alta la quota di cantine organizzate per l’incoming.

Come rispondere alle criticità?

L’indagine evidenzia però due elementi critici: il 44% delle cantine sono lontane dai circuiti turistici o enoturistici, problema particolarmente evidente in Friuli Venezia Giulia, Umbria e Campania. Inoltre, la metà delle cantine chiude al pubblico nel fine settimana e nei giorni festivi. Chiusura che riguarda anche molti uffici turistici, costituendo un problema rispetto ai flussi dei visitatori, più concentrati nei giorni di festa. Come e cosa possono migliorare i Comuni per favorire l’enoturismo? Anzitutto potenziare gli uffici di informazione turistica e la loro apertura nei giorni festivi, poi sostenere la formazione del personale, anche degli uffici pubblici, in materia enoturistica. Inoltre, favorire la dotazione di strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale. E promuovere una maggiore condivisione delle collaborazioni per ‘fare sempre più rete’.

Turismo: nel 2023 previsti quasi 127 milioni di arrivi

Segnali in ripresa per il settore turistico italiano, anche sul versante dell’incoming. Nel 2023 a scegliere l’Italia per le vacanze sarebbero quasi 61 milioni di stranieri, generando a loro volta 215 milioni di pernottamenti. E a livello territoriale tutte le destinazioni regionali dovrebbero registrare un andamento positivo dei flussi turistici. È quanto emerge dalla nota previsionale Tourism Forecast 2023 dell’Istituto Demoskopika: nel 2023 in Italia si prevedono oltre 442 milioni di presenze e 126,6 milioni di arrivi, per un incremento, rispettivamente, del +12,2% e +11,2% rispetto al 2022. Secondo il presidente Demoskopika, Raffaele Rio “Si potrebbe registrare il valore più alto delle presenze dal 2010 a oggi, con il mercato estero che incrementa le sue scelte di consumo turistico verso la destinazione Italia”.

Trentino Alto Adige, Veneto, Marche le più “pernottate”

Nel modello previsionale dell’Istituto si collocherebbero al di sopra della media italiana nove sistemi turistici territoriali: Trentino Alto Adige, con 52,6 milioni di pernottamenti (+15,4%) e 12,1 milioni di arrivi (+11,8%), Veneto (73,3 milioni di presenze, +14,8%, e 19,1 milioni di arrivi (+11,0%), Marche (13 milioni, +13,4%, e 2,7 milioni, +13,8%), Molise (584mila, +13,4%, e 182mila, +14,3%), Toscana (49,8 milioni, +13,4%, e 14 milioni, +13,5%), Lazio (33,8 milioni, +12,8%, e 11,5 milioni, +12,8%), Sicilia (15,9 milioni, +12,7%, e 4,9 milioni, +8,9%), Campania (20,8 milioni, +12,3%, e 5,7 milioni, +13,1%) ed Emilia-Romagna (42,8 milioni, +12,2%, e 11,4 milioni, +7,4%).

Flussi in aumento in tutte le regioni

A seguire, con una crescita significativa dei flussi turistici, Sardegna (14,2 milioni di presenze, +11,9%, e 3 milioni di arrivi, +10,2%), Friuli-Venezia Giulia (9,6 milioni di presenze (+11,1%) e 2,6 milioni di arrivi (+13,7%), Lombardia (38,8 milioni di presenze, +10,6%, e 15,9 milioni di arrivi, +12,1%), Puglia (+10,0% e +10,6%), Valle d’Aosta (+10,0% e +5,4%), Umbria (+10,0% e +13,5%), Calabria (+8,7% e +7,5%), Abruzzo (7,5% e +14,0%), Liguria (+6,3% e +8,0%), Basilicata (+4,6% e +14,7%), e Piemonte, con 15,6 milioni di presenze (+4,2%) e con 6,1 milioni di arrivi (+10,0%).

Spesa: +22,8% per 88,7 miliardi di euro

Per il 2023, i flussi turistici in Italia potrebbero generare una spesa pari a 88,7 miliardi di euro, con una variazione in crescita del 22,8% rispetto all’anno precedente. Per il 2022 e per il 2023 è stata stimata una spesa pro-capite per vacanza rispettivamente pari a 630 euro e 701 euro. L’analisi per livello regionale colloca, in relazione alla variazione percentuale in aumento dell’indicatore osservato, nelle prime cinque posizioni Basilicata, con 457 milioni di euro (+27,7% rispetto al 2022), Molise (117 milioni di euro, +27,2%), Abruzzo (1.142 milioni, +26,8%), Marche (1.676 milioni, +26,6%), e Friuli-Venezia Giulia (1.038 milioni, +26,5%).

Gender gap, lavoro: operaie -37,7% di salario accessorio

La differenza di trattamento tra uomini e donne a livello professionale non si riscontra solo ai livelli lavorativi più alti. La conferma che ancora oggi esistano distinzioni, e pure sostanziali, a tutti i livelli occupazionali emerge dall’ultima indagine della Fiom, che ha esaminato il settore metalmeccanico. La ricerca, presentata all’ultimo congresso delle tute blu della Cgil che si è recentemente chiuso, fa luce su un fenomeno dai dati allarmanti. 

Una ricerca che ha coinvolto 175mila lavoratori

L’indagine, condotta su 55 aziende per complessivi 175mila lavoratori, secondo quanto riporta l’Adnkronos, conferma infatti uno scarto pesante sul salario accessorio, quello che comprende indennità e i superminimi previsti generalmente per compensare lo svolgimento di lavori che comportano maggiori oneri e difficoltà al lavoratore e che concorre al ‘peso’ finale della busta paga, di uomini e donne. Quello che più sorprese è che il gender gap pare esserci a ogni livello contrattuale, con maggiore forza sia verso il basso sia verso l’alto.

Le operaie le più colpite 

Un po’ a sorpresa, l’indagine della Fiom evidenzia che le più colpite dal gender gap nell’industria metalmeccanica sono le operaie. Per le donne il salario accessorio medio, infatti, tra il 2020 e il 2021 è stato inferiore del 37,3% di quanto incassato dai colleghi maschi. Si tratta di cifre significative: 2.853 euro medi lordi contro i 4.570 euro degli uomini. Va leggermente meglio, anche se la forbice è ancora larga , il gap a livello di dirigenti: qui il salario accessorio delle donne è il 31,2% sotto quello dei maschi, 27.590 contro 40mila. In ogni caso, nonostante la situazione sia migliore, è uno scarto troppo evidente. 

La situazione migliora fra gli impiegati

L’ambito in cui la situazione sempre parzialmente riallinearsi è tra le figure impiegatizie. Anche se lo scarto c’è ed è ancora una volta pesante, fra gli impiegati si ferma al 25%, 6.415 contro 8.611 euro di salario accessorio medio. Le buone notizie, se così si può dire, si fermano qui. Il divario si riallarga infatti ulteriormente tra i quadri, dove le donne guadagnano l’8,5% in meno degli uomini, 18.224 mila contro i 19.940 dei colleghi maschi. La differenza tra uomini e donne, però, si registra anche a livello di forza lavoro. La fotografia scattata dalla Fiom infatti, attesta come, rispetto alla occupazione complessiva del settore al 31/12/2021, le donne rappresentino appena il 19% dei lavoratori.

Vacanze estive, gli italiani stanno già prenotando quelle al mare

Tutti al mare, almeno con il pensiero e le intenzioni. Sono infatti già numerosissimi i nostri connazionali che hanno già prenotato le loro ferie in una località balneare. Le preoccupazioni legate alla pandemia, che avevano frenato le partenze, sembrano ormai lontanissime. E la voglia di vacanza si fa già sentire appena smontato l’albero di Natale. A dare il polso della prossima stagione turistica è il tour operator AllTours, che cha condotto una rilevazione con la società  Making Science.

Prenotazioni a tutto ritmo

Le richieste di preventivo registrate da AllTours segnano un +43% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E’ nel segno dell’ottimismo anche il trend delle richieste di preventivo, dato che segna un +38%. Si tratta di una percentuale importante, anche perchè il tour operator, specializzato nel Mare Italia, gestisce in media, per la stagione estiva, quasi 15 mila prenotazioni per 600 strutture ricettive diverse. Nonostante l’inflazione, i clienti del tour operator – per la quasi totalità italiani – non sembrano disposti a fare rinunce in tema di vacanze: assieme alle prenotazioni aumenta anche lo scontrino medio, che segna un +14%. 

Aumenta la spesa media 

La spesa media di ogni famiglia per le vacanze estive 2023 al momento sfiora infatti i 2 mila euro, quasi 250 in più rispetto alle prenotazioni registrate lo scorso anno. La formula del pagamento a rate senza interessi, introdotta nel maggio del 2022 grazie a una partnership con Scalapay e ad oggi scelta già dal 18% dei clienti, incoraggia la propensione a una spesa maggiore. Se il ritorno alle prenotazioni anticipate è generalizzato, la fascia tra i 45 e i 60 anni risulta la più propensa a programmare per tempo le vacanze estive, mentre gli over 60, e in particolare i pensionati, non soggetti a vincoli lavorativi, spesso si dimostrano più attendisti.

Le mete preferite

Nel campione del tour operator le località di vacanza più rappresentate sono quelle del sud, con Sardegna, Sicilia e Puglia a contendersi  il ruolo di regione dell’estate. Tra queste, la a meta che registra il trend di crescita più netto è la Sicilia con un +39% di prenotazioni rispetto al 2022, seguita dalla Sardegna (+35%). Le due destinazioni isolane, che nelle stagioni 2020, 2021 e 2022, a causa dell’emergenza Covid, hanno intercettato molti turisti italiani in precedenza orientati verso mete esotiche, sono raggiunte in queste settimane dalle prenotazioni di clienti fidelizzati da anni, di nuovi clienti, ma anche di clienti che hanno scoperto o riscoperto le destinazioni italiane proprio negli anni della pandemia. Si difende bene anche la Puglia, che mette a segno un lusinghiero +24% sui numeri ottenuti lo scorso anno.  

Amazon supera Apple: ora è il brand con maggior valore

Secondo il rapporto della società di consulenza britannica Brand Finance, nonostante il valore di Amazon nel 2022 abbia perso il 15%, passando da 350,3 miliardi di dollari a 299,3 miliardi di dollari, questo è bastato per superare Apple, il gruppo con sede a Cupertino. Nell’ultimo anno il marchio del brand del gruppo fondato da Jeff Bezos è infatti diminuito di oltre 50 miliardi di dollari, perché ora “i consumatori lo valutano più negativamente nel mondo post pandemia”, spiega la società Brand Finance. Di fatto, Amazon sorpassa Apple come brand con maggior valore a livello mondiale e riconquista il primo posto. Il valore del marchio Apple perde infatti il 16% passa da 355,1 miliardi a 297,5 miliardi di dollari. 

Con la fine della pandemia i consumatori tornano a fare acquisti di persona 

In particolare, la percezione del servizio clienti su Amazon è diminuita contemporaneamente all’allungamento dei tempi di consegna, Inoltre, con la fine della pandemia, “i consumatori stanno tornando a fare acquisti di persona riducendo leggermente la necessità di e-commerce”, rileva ancora la società, Tra i marchi tecnologici che hanno perso valore figurano anche Samsung Group, il cui valore del marchio è in calo del 7% a 99,7 miliardi di dollari) Alibaba.com (-56%, 10 miliardi dollari), Facebook (-42%, 59 miliardi di dollari) e WeChat (19%, 50,2 miliardi di dollari). Crescono invece i marchi Instagram (+42% a 47,4 miliardi di dollari) e LinkedIn (+49% a 15,5 miliardi di dollari). Tra i marchi in crescita c’è anche Tesla (+44% a 66,2 miliardi di dollari) e Byd (+57% a 10,1 miliardi di dollari).

Colpita più duramente la domanda di servizi dei marchi tecnologici

“I marchi tecnologici di tutto il mondo – commenta David Haigh, Presidente e Ceo di Brand Finance – hanno perso un valore significativo in risposta ai mutevoli andamenti della domanda. L’inflazione ha colpito i marchi in molti settori, ma poiché le abitudini dei consumatori sono parzialmente tornate ai modelli pre pandemia, la domanda di servizi dei marchi tecnologici è stata colpita in modo particolarmente duro. Inoltre, le catene di approvvigionamento interrotte, la carenza di manodopera e i maggiori ostacoli al finanziamento hanno lasciato il segno”, riferisce Adnkronos.

Anche la tecnologia rischia di diventare una commodity

“Il crollo delle aziende tecnologiche – aggiunge Massimo Pizzo managing director Italia di Brand Finance – non è solo dovuto a fattori come l’innalzamento dei tassi, l’inflazione, la guerra o l’energia: dalle nostre analisi risulta esserci un indebolimento dell’immagine e della reputazione di molti brand del comparto. Come se dopo la pandemia l’amore e l’entusiasmo per la tecnologia abbia perso vigore. Da anni non si vedono più innovazioni in grado di sedurre i clienti e i contenuti dei messaggi sono sostanzialmente sempre gli stessi. Anche la tecnologia, come le telecomunicazioni, rischia di diventare una commodity. Sembra chiaramente arrivato il momento anche per le big tech di mettere in discussione la propria strategia per non perdere ulteriormente il favore dei consumatori”, riporta Forbes.

Natale 2022: tra la crisi e l’inflazione ri-spunta il regalo

Il Natale 2022 è stato come gli ultimi due, ovvero ‘figlio’ di una situazione eccezionale. Se nel caso del Natale 2020 e di quello 2021 il Covid aveva fortemente condizionato l’andamento dei regali, quest’anno a pesare in modo decisivo sono l’aumento dell’inflazione e la crisi energetica.  Secondo un’indagine sui consumi di Natale realizzata da Confcommercio in collaborazione con Format Research, tre italiani su quattro hanno fatto i regali di Natale, ma c’è un 27,3% che non ha fatto acquisti. In primo luogo per risparmiare, poi per il peggioramento della propria condizione economica, oppure per l’aumento dei prezzi a causa dell’inflazione.

Prodotti per gli animali: +8,4%

In ogni caso, in cima alla lista dei regali più diffusi si confermano i prodotti enogastronomici (70%), seguiti da giocattoli (49%), libri ed ebook (48%), abbigliamento (47%), e prodotti per la cura della persona (41%). Ma tra i regali che registrano l’incremento maggiore rispetto all’anno scorso si segnalano i prodotti per animali (+8,4%), e per chi ha scelto di acquistare online i regali si confermano in cima alla lista anche quest’anno carte regalo (77,8%) e abbonamenti streaming (76,4%). E al di là dei regali rivolti al proprio nucleo familiare, il 50,3% degli italiani ha fatto regali ad amici e conoscenti, e ad acquistarli sono stati prevalentemente i coniugi in coppia.

Tredicesima: solo il 14,5% l’ha utilizzata per i doni natalizi

Quanto al budget di spesa stanziato per gli acquisti, il 64% ha speso tra 100 e 300 euro, mentre 1 consumatore su 3 non ha superato i 100 euro. Della tredicesima, comunque, solo una piccola parte è stata destinata ai regali, mentre il ‘grosso’ se n’è andato per spese per la casa, tasse e bollette. Tra coloro che percepiscono la tredicesima, quasi un terzo infatti l’ha usata per affrontare spese per la casa e la famiglia, il 24% la metterà da parte, il 19,2% la userà per pagare tasse e bollette, e solo il 14,5% l’ha utilizzata per acquistare i regali di Natale.

I canali di acquisto

Tra i canali di acquisto preferiti, Internet si conferma al primo posto (64,6%), anche se in calo per la prima volta dal 2009, mentre salgono le preferenze per i negozi di vicinato. Internet, dopo il boom dello scorso anno, quest’anno infatti rallenta, confermandosi comunque il canale di acquisto principale per i regali di Natale. Seguono la distribuzione organizzata (56,7%), gli outlet e i punti vendita del commercio equo-solidale. Aumentano poi gli acquisti presso i negozi di vicinato, passati dal 42,5% al 45%, segno che gli italiani stanno riscoprendo il piacere di vivere il proprio quartiere e le vie dello shopping.

Cambiare lavoro: gli over 40 in cerca di nuove opportunità

Il mercato del lavoro è ricco di opportunità anche per gli over 40. Quello che serve è la capacità e la prontezza di coglierle al volo. Sono tante infatti le persone che arrivano alla soglia dei 40 anni, e la superano, e scelgono di dare una svolta alla propria vita e alla propria carriera. Non si tratta di crisi di mezza età, più che altro, sono decisioni maturate a seguito di un’attenta riflessione, e accompagnate dal desiderio di rimettersi in gioco. Secondo gli esperti di Jobiri, il career advisor digitale che utilizza l’Intelligenza Artificiale per supportare i professionisti, la cosa importante è non lasciarsi influenzare dagli stereotipi, come il falso mito secondo cui passati i 40 anni le aziende non assumono più.

Investire sulla formazione per affrontare nuove sfide

Sono diversi i motivi per cui un quarantenne decide di cambiare lavoro, un licenziamento, situazioni conflittuali nell’ambiente professionale, demotivazione, o semplicemente, voglia di affrontare nuove sfide. Una volta appurata la volontà di cambiare lavoro, si pone un’altra questione e cioè se si desidera rimanere nel medesimo settore di mercato o si propenda per un cambiamento radicale. Chiarito anche questo punto, non resta che seguire alcuni semplici consigli. Secondo gli esperti di Jobiri, per cambiare lavoro a 40 anni con successo bisogna innanzitutto investire sulla propria formazione. Che si tratti di rimettersi sui libri o seguire un corso formativo, il know how è importante per qualsiasi professione.

Aggiornare il CV e seguire un percorso di Career Coaching

Al contempo, è utile aggiornare il proprio CV, anche alla luce di eventuali risultati raggiunti in ambito formativo, come la frequentazione di scuole o corsi specifici, e coltivare costantemente la propria rete di contatti, perché spesso è proprio tramite le relazioni con gli altri che emergono nuove opportunità di lavoro. Iniziare un percorso di Career Coaching, poi, potrebbe aiutare molto per affrontare un cambiamento lavorativo dopo i 40 anni, permettendo di mettere a fuoco le criticità che non consentono di raggiungere gli obiettivi professionali e individuare le tecniche migliori per ottenere il lavoro desiderato senza ansia e stress.

L’atteggiamento positivo è senza età

Non bisogna poi dimenticare l’aspetto psicologico. Per cercare lavoro, spiegano gli esperti di Jobiri, bisogna avere sempre un atteggiamento positivo e proattivo, a prescindere dall’età. Quando poi si tratta di affrontare una sfida come quella di cambiare professione dopo i 40 anni, vedere il bicchiere mezzo pieno e fare affidamento sulle proprie capacità è ancora più importante.

Tradizione, autenticità e buona tavola: i trend della vacanza degli italiani

Voglia di autenticità e di tradizione, sia nei luoghi che si visitano sia nelle specialità che si assaggiano: ecco uno dei trend più forti che ha animato la scelta nella vacanza degli italiani. Che, oltre all’aspetto prettamente leisure, desiderano vivere quando sono lontani da casa anche esperienze più “profonde”. La tendenza è emersa dalla recente ricerca condotta da Bva Doxa per il Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina, che ha voluto indagare la passione dei nostri connazionali per gli spuntini salati della tradizione, rivisitati in chiave contemporanea. Passando a qualche dato, si scopre che per 3 italiani su 10 (soprattutto Millennials) la cucina tipica locale si degusta alternando un pasto completo a tanti spuntini tipici, con finger food in movimento. Il must è lo spuntino salato da assaporare immersi nella natura, contemplando un monumento o una bellezza architettonica.

Passione “street food”

Il report fa emergere che in particolare i Millennials amano destrutturare il pasto mangiando street food e spuntini salati all’aria aperta nel corso della giornata, passeggiando al parco, in movimento e senza l’utilizzo di un tavolo e una sedia. Sappiamo anche che amano lo street food e per loro è sinonimo di condivisione. Ma i nostri connazionali come preferiscono gustare la cucina di territorio? Se da un lato i boomer, tra i 55 e i 74 anni, si rivelano dei “conservatori” preferendo un pasto completo da consumare seduti a tavola (60%), sono i Millennials a dettare le nuove regole: per 3 italiani su 10 (soprattutto nella fascia 18-34 anni) la cucina tipica locale si degusta alternando un pasto completo con tanti spuntini tipici a base di finger food in movimento. Non solo, il 15% sostituisce direttamente i pasti con tanti break nel corso della giornata. In merito al luogo ideale per concedersi uno spuntino in vacanza, per 1 italiano su 2 coincide con l’immersione nella natura oppure con la contemplazione di un monumento o una bellezza architettonica, contro il 23% che preferisce il momento della passeggiata. Ma la domanda viene da sé: spuntino dolce o salato? Per quasi 4 italiani su 10 non c’è dubbio, il vincitore è lo spuntino salato, mentre il 27% ama alternarlo con il dolce e il 19% si rivela “rigoroso”, riservando il salato al pomeriggio e il dolce per la mattina.

Identità dei luoghi

Ancora più profondo, secondo i vacanzieri,  il legame fra territorio e cibo. Per 1 italiano su 2 (48%) la cucina tipica locale esprime la vera identità dei luoghi in cui è nata. Un altro fattore di attrazione è la varietà territoriale ed enogastronomica del nostro Paese: per 4 italiani su 10 (38%) la cucina locale è sempre diversa, a seconda della cultura e della tradizione del territorio e per il 33% parla di autenticità, in quanto specchio della memoria locale.